“1992” la nuova serie di Sky

About the Author: Redazione ViviCreativo

serie 1992
Published On: 31 Marzo 2015

Tempo stimato per la lettura: 3,6 minuti

Ad una settimana dalla messa in onda delle prime due puntate, “1992“, la nuova serie firmata Sky Atlantic e prodotta da Lorenzo Mieli, vanta già un buon numero di detrattori e critici severi che non hanno perso l’occasione del paragone: giudicata non all’altezza di “Romanzo criminale” e lontana anni luce dal capolavoro “Gomorra”, definito da molti come stilisticamente e narrativamente perfetto e, non solo, rispetto agli standard, bassi bisogna dirlo, della fiction televisiva nostrana.

https://youtu.be/0OyUVliQAq8

Non è bastata la lunga campagna virale, la guerrilla marketing con tanto di finte lire, l’apertura di un canale dedicato, Sky Atlantic 1992, che ha rimandato in loop le vecchie glorie e le camice di fustagno, Brenda, Dylan, i bagnini di Baywatch e i rapper di Willy Il principe di Bel Air, i floppy disk in regalo.

sky-atlantic-1992

Sky Atlantic 1992

 

L’idea, di Stefano Accorsi, di raccontare un periodo buio, ma recente, del Paese, travolto da Mani Pulite, dalle stragi di Mafia, da una seconda repubblica che puzzava già allora di stantio e da un individualismo, forse più dimesso degli anni Ottanta, ma ugualmente pericoloso, ha in sé un discreto coefficiente di rischio. Fosse soltanto per i suoi protagonisti, in parte vivi e vegeti sulla scena politica e culturale italiana. Anche per questo, i tre giovani e talentuosi sceneggiatori, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, scelgono di combinare realtà e finzione, mostrando tanto, più di quanto siamo mai stati abituati a vedere, dicendo cose che sappiamo, ma che raramente ci sono state rivelate con così tanta verità. Il volto di Dell’Utri, un bravissimo Fabrizio Contri, alla notizia della morte di Salvo Lima mentre tra i corridoi di Publitalia si diffonde la sigla di Casa Vianello, raggela il sangue ed è di per se un piccolo capolavoro, così come il discorso che il pubblicitario, interpretato da Accorsi, fa al suo cliente sull’efficacia di un programma come “Non è la Rai” per lanciare un prodotto rivolto agli uomini: “lo vuole sapere un segreto? La gente là fuori è orribile. Sognano cose indicibili… sono tutte magre, bambine, ma sono vestite con gli abiti delle mamme …”

Ora, è vero anche che in mezzo a sparuti sprazzi di bellezza e originalità come questi, ce ne sono altri nella serie più stereotipati e deboli, con personaggi ridotti a macchiette, che restano a galleggiare in superficie come certi caratteri da soap opera che non evolvono, ma si trasformano in modo schizoide. Ci sono situazioni verosimili o vere e ce ne sono altre assolutamente in-credibili, fatte entrare a forza nella sceneggiatura perché tutto si reggesse senza implodere. Ma forse, il problema è che c’è troppo e tutto insieme. Forse, la regia “videoclippara” di Giuseppe Gagliardi con i suoi virtuosismi, a volte un po’ furbi, da sola non basta a tenere tutto in equilibrio.

Questa serie, insomma potrebbe essere incline agli scivoloni, inciampando non tanto sulle inesattezze storiche, che si perdonano, quanto su vecchi difetti di fabbrica, tipici della narrazione seriale italiana, didascalica e pedagogica, piuttosto duri da eliminare.

Noi, però, da amanti della creatività gli concediamo il beneficio del dubbio:

– per il cast di prim’ordine (fatta eccezione per Tea Falco, che a noi ricorda molto la Corinna di Boris);

– per la colonna sonora, commovente per chi negli anni Novanta era poco più di un adolescente, che pesca R.E.M., Nirvana, le glorie italiche da Karaoke, le sigle ballate dalla Cuccarini ed Heather Parisi;

– per la sigla dura come i vetri che si infrangono che ha il graffio elettrico di Boosta;

– sopratutto per il coraggio di portare sullo schermo la storia, non quella passata che si perdona, non quella presente che ha ancora la forma e il puzzo della cronaca, ma quella recente, che obbliga ad assumere una distanza di medio raggio, non troppo lontani, non troppo vicini dall’oggetto che guardiamo;

È questo, forse, il suo più grande pregio e, insieme, la sua spada di Damocle.

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Published On: 31 Marzo 2015

About the Author: Redazione ViviCreativo

Tempo stimato per la lettura: 11 minuti

Ad una settimana dalla messa in onda delle prime due puntate, “1992“, la nuova serie firmata Sky Atlantic e prodotta da Lorenzo Mieli, vanta già un buon numero di detrattori e critici severi che non hanno perso l’occasione del paragone: giudicata non all’altezza di “Romanzo criminale” e lontana anni luce dal capolavoro “Gomorra”, definito da molti come stilisticamente e narrativamente perfetto e, non solo, rispetto agli standard, bassi bisogna dirlo, della fiction televisiva nostrana.

https://youtu.be/0OyUVliQAq8

Non è bastata la lunga campagna virale, la guerrilla marketing con tanto di finte lire, l’apertura di un canale dedicato, Sky Atlantic 1992, che ha rimandato in loop le vecchie glorie e le camice di fustagno, Brenda, Dylan, i bagnini di Baywatch e i rapper di Willy Il principe di Bel Air, i floppy disk in regalo.

sky-atlantic-1992

Sky Atlantic 1992

 

L’idea, di Stefano Accorsi, di raccontare un periodo buio, ma recente, del Paese, travolto da Mani Pulite, dalle stragi di Mafia, da una seconda repubblica che puzzava già allora di stantio e da un individualismo, forse più dimesso degli anni Ottanta, ma ugualmente pericoloso, ha in sé un discreto coefficiente di rischio. Fosse soltanto per i suoi protagonisti, in parte vivi e vegeti sulla scena politica e culturale italiana. Anche per questo, i tre giovani e talentuosi sceneggiatori, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, scelgono di combinare realtà e finzione, mostrando tanto, più di quanto siamo mai stati abituati a vedere, dicendo cose che sappiamo, ma che raramente ci sono state rivelate con così tanta verità. Il volto di Dell’Utri, un bravissimo Fabrizio Contri, alla notizia della morte di Salvo Lima mentre tra i corridoi di Publitalia si diffonde la sigla di Casa Vianello, raggela il sangue ed è di per se un piccolo capolavoro, così come il discorso che il pubblicitario, interpretato da Accorsi, fa al suo cliente sull’efficacia di un programma come “Non è la Rai” per lanciare un prodotto rivolto agli uomini: “lo vuole sapere un segreto? La gente là fuori è orribile. Sognano cose indicibili… sono tutte magre, bambine, ma sono vestite con gli abiti delle mamme …”

Ora, è vero anche che in mezzo a sparuti sprazzi di bellezza e originalità come questi, ce ne sono altri nella serie più stereotipati e deboli, con personaggi ridotti a macchiette, che restano a galleggiare in superficie come certi caratteri da soap opera che non evolvono, ma si trasformano in modo schizoide. Ci sono situazioni verosimili o vere e ce ne sono altre assolutamente in-credibili, fatte entrare a forza nella sceneggiatura perché tutto si reggesse senza implodere. Ma forse, il problema è che c’è troppo e tutto insieme. Forse, la regia “videoclippara” di Giuseppe Gagliardi con i suoi virtuosismi, a volte un po’ furbi, da sola non basta a tenere tutto in equilibrio.

Questa serie, insomma potrebbe essere incline agli scivoloni, inciampando non tanto sulle inesattezze storiche, che si perdonano, quanto su vecchi difetti di fabbrica, tipici della narrazione seriale italiana, didascalica e pedagogica, piuttosto duri da eliminare.

Noi, però, da amanti della creatività gli concediamo il beneficio del dubbio:

– per il cast di prim’ordine (fatta eccezione per Tea Falco, che a noi ricorda molto la Corinna di Boris);

– per la colonna sonora, commovente per chi negli anni Novanta era poco più di un adolescente, che pesca R.E.M., Nirvana, le glorie italiche da Karaoke, le sigle ballate dalla Cuccarini ed Heather Parisi;

– per la sigla dura come i vetri che si infrangono che ha il graffio elettrico di Boosta;

– sopratutto per il coraggio di portare sullo schermo la storia, non quella passata che si perdona, non quella presente che ha ancora la forma e il puzzo della cronaca, ma quella recente, che obbliga ad assumere una distanza di medio raggio, non troppo lontani, non troppo vicini dall’oggetto che guardiamo;

È questo, forse, il suo più grande pregio e, insieme, la sua spada di Damocle.

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