Chiara Ribaldo, social specialist dunp, racconta le opportunità del 3.0
Tempo stimato per la lettura: 3,5 minuti
Si definisce “mina vagante, writer, con un’attitudine cinefila e anche un po’ rissosa”, Chiara Ribaldo, social specialist di dunp, in questa intervista ci racconta le novità sui social e il potenziale che ciascuna di queste piattaforme 3.0 porta ai clienti in termini di brand awareness e engagement.
Quali altri social oltre a Facebook sono per te interessanti per le aziende?
Diciamo che tutti i social media sono interessanti e possono accrescere la brand awareness ma naturalmente non tutti i social vanno bene per tutte le aziende. Uno dei primi passi in una social media strategy è proprio quello di individuare i canali più coerenti rispetto alla tipologia, alla storia e ai servizi/prodotti dell’azienda. Ad esempio, uno studio di architettura dovrebbe avere, oltre Facebook, una pagina Pinterest con board tematiche. Questo social è lo strumento perfetto non solo per comunicare il proprio stile e la propria visione, ma anche per scambiare e trovare idee da design o studi di ogni parte del mondo.
Per un Hotel o un Ristorante, invece, è fondamentale avere un profilo Instagram. Quando viaggiamo o andiamo fuori a cena, non facciamo che scattare foto, amiamo condividerle e vedere quelle degli altri, usando hashtag che rendano i nostri contenuti facilmente visibili. Ecco un’azienda che lavora nell’accoglienza o nella ristorazione dovrebbe cogliere quel fermento e farlo convergere nel proprio canale, creare traffico.
Twitter è un social che amo molto, è democratico, veloce, puoi scambiare battute con un attore o un politico, essere retwittato da un quotidiano, senza considerare che sei sempre aggiornato su tutto. Tuttavia è un social adatto solo ad alcune aziende, quelle che hanno molto da dire, è perfetto, ad esempio, per un’agenzia di comunicazione, per una onlus, per un giornale, ma può essere disastroso in altri casi. Bisogna twittare spesso, considerato che un cinguettio resta visibile per meno di due minuti.
A tutti, invece, consiglio Linkedin, è uno spazio più formale e ingessato rispetto agli altri social, ma offre molte possibilità di recruiting e di partnership, sintetizza obiettivi e competenze in una sorta di curriculum ipertestuale.
Al di là del mezzo scelto è però importante ricordarsi che i social non sono canali di vendita, volantini online da usare per sconti o promozioni, non aumenteranno direttamente le vendite, ma contribuiranno ad accrescere la credibilità di un’impresa, piccola o grande che sia. Le scelte di acquisto in un mondo sovraffollato di merci e servizi, si fanno sulla base di empatia, simpatia e stile.
Da poco si è sviluppata sul web una “strategia narrativa” chiamata storytelling aziendale; ce ne puoi parlare?
Adoro lo storytelling aziendale, rientra in una più ampia strategia di marketing emozionale. Da qualche anno le aziende non vendono più prodotti, ma valori, sogni, idee, status. Pensiamo agli spot delle automobili, non si parla quasi mai delle caratteristiche tecniche, ma di emozioni: l’avventura, l’amore, la sicurezza. Il prodotto diventa quindi solo un veicolo attraverso cui comunicare un messaggio.
In questo senso raccontare storie diventa utile a costruire un’identità e un universo valoriale condivisibile e facilmente riconoscibile. Immagini, parole, suoni, veicolati soprattutto attraverso i social, formano il “capitale narrativo” e hanno il compito di catturare ed emozionare il target di riferimento, espandendo la propria community meglio che con qualunque altra forma di comunicazione.
Sul social di #vivicreativo avete lanciato attraverso un post una personalità ai vari social, disegnati attraverso delle “faccine”: perché avete pensato a questa operazione?
Ci faceva sorridere l’idea di attribuire ai social, Facebook, Twitter, Google Plus, Instagram, Linkedin, una personalità sulla base delle caratteristiche di ciascuno. Passiamo così tanto tempo su queste piattaforme e per ragioni così differenti che sono parte della nostra quotidianità, perché non dargli un volto, occhiali, baffi, cappelli.Abbiamo chiesto ai nostri follower di accoppiare le facce ai social, ci stuzzicava l’idea di capire come le persone vedono queste piattaforme, come se le immaginano.
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Chiara Ribaldo, social specialist dunp, racconta le opportunità del 3.0
Tempo stimato per la lettura: 11 minuti
Si definisce “mina vagante, writer, con un’attitudine cinefila e anche un po’ rissosa”, Chiara Ribaldo, social specialist di dunp, in questa intervista ci racconta le novità sui social e il potenziale che ciascuna di queste piattaforme 3.0 porta ai clienti in termini di brand awareness e engagement.
Quali altri social oltre a Facebook sono per te interessanti per le aziende?
Diciamo che tutti i social media sono interessanti e possono accrescere la brand awareness ma naturalmente non tutti i social vanno bene per tutte le aziende. Uno dei primi passi in una social media strategy è proprio quello di individuare i canali più coerenti rispetto alla tipologia, alla storia e ai servizi/prodotti dell’azienda. Ad esempio, uno studio di architettura dovrebbe avere, oltre Facebook, una pagina Pinterest con board tematiche. Questo social è lo strumento perfetto non solo per comunicare il proprio stile e la propria visione, ma anche per scambiare e trovare idee da design o studi di ogni parte del mondo.
Per un Hotel o un Ristorante, invece, è fondamentale avere un profilo Instagram. Quando viaggiamo o andiamo fuori a cena, non facciamo che scattare foto, amiamo condividerle e vedere quelle degli altri, usando hashtag che rendano i nostri contenuti facilmente visibili. Ecco un’azienda che lavora nell’accoglienza o nella ristorazione dovrebbe cogliere quel fermento e farlo convergere nel proprio canale, creare traffico.
Twitter è un social che amo molto, è democratico, veloce, puoi scambiare battute con un attore o un politico, essere retwittato da un quotidiano, senza considerare che sei sempre aggiornato su tutto. Tuttavia è un social adatto solo ad alcune aziende, quelle che hanno molto da dire, è perfetto, ad esempio, per un’agenzia di comunicazione, per una onlus, per un giornale, ma può essere disastroso in altri casi. Bisogna twittare spesso, considerato che un cinguettio resta visibile per meno di due minuti.
A tutti, invece, consiglio Linkedin, è uno spazio più formale e ingessato rispetto agli altri social, ma offre molte possibilità di recruiting e di partnership, sintetizza obiettivi e competenze in una sorta di curriculum ipertestuale.
Al di là del mezzo scelto è però importante ricordarsi che i social non sono canali di vendita, volantini online da usare per sconti o promozioni, non aumenteranno direttamente le vendite, ma contribuiranno ad accrescere la credibilità di un’impresa, piccola o grande che sia. Le scelte di acquisto in un mondo sovraffollato di merci e servizi, si fanno sulla base di empatia, simpatia e stile.
Da poco si è sviluppata sul web una “strategia narrativa” chiamata storytelling aziendale; ce ne puoi parlare?
Adoro lo storytelling aziendale, rientra in una più ampia strategia di marketing emozionale. Da qualche anno le aziende non vendono più prodotti, ma valori, sogni, idee, status. Pensiamo agli spot delle automobili, non si parla quasi mai delle caratteristiche tecniche, ma di emozioni: l’avventura, l’amore, la sicurezza. Il prodotto diventa quindi solo un veicolo attraverso cui comunicare un messaggio.
In questo senso raccontare storie diventa utile a costruire un’identità e un universo valoriale condivisibile e facilmente riconoscibile. Immagini, parole, suoni, veicolati soprattutto attraverso i social, formano il “capitale narrativo” e hanno il compito di catturare ed emozionare il target di riferimento, espandendo la propria community meglio che con qualunque altra forma di comunicazione.
Sul social di #vivicreativo avete lanciato attraverso un post una personalità ai vari social, disegnati attraverso delle “faccine”: perché avete pensato a questa operazione?
Ci faceva sorridere l’idea di attribuire ai social, Facebook, Twitter, Google Plus, Instagram, Linkedin, una personalità sulla base delle caratteristiche di ciascuno. Passiamo così tanto tempo su queste piattaforme e per ragioni così differenti che sono parte della nostra quotidianità, perché non dargli un volto, occhiali, baffi, cappelli.Abbiamo chiesto ai nostri follower di accoppiare le facce ai social, ci stuzzicava l’idea di capire come le persone vedono queste piattaforme, come se le immaginano.
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