OUTDOOR FESTIVAL 2016, L’URBAN CHE CI PIACE
Tempo stimato per la lettura: 4,2 minuti
Sicuramente una mostra da non perdere, quella dell’Outdoor Festival 2016 e io penso di averla persa quando leggo sul mio telefono “Ti sarebbe tanto piaciuta, peccato che è finita”. Ad un passo dal buttarmi nel Tevere, scopro di avere ancora lunedì 31, e così, vado. Arrivo lì verso le 18 in piena apertura porte e scopro che c’è un percorso da seguire all’interno di questa enorme struttura urbana allestita sia all’interno che all’esterno.
L’ex Caserma Guida Reni, location bellissima, per chi, come me, ama il genere post-apocallittico da serie tv alla walking dead. Ho la sensazione di partecipare ad una specie di gioco…trova i padiglioni, trova l’artista, scopri le sale; complice ovviamente il posto davvero enorme e le sale divise tra loro da porte ideate con le immagini della mostra, ovviamente contestuali all’artista che sto vedendo. In queste immense camerate abbandonate spiccano le opere artistiche. Ogni artista ha saputo distinguersi creando un proprio legame con l’osservatore.
Cambio stanza e vengo catapultata in ambienti sempre diversi, tutti estremamente interessanti e originali, colorati, bui, a volte interattivi a volte piacevolmente osservabili, altri addirittura destabilizzanti. Le opere che mi colpiscono particolarmente sono diverse, la maggior parte delle quali prevede una componente di interazione.
Assolutamente da citare è quella che ho rinominato “il buco della serratura”, un’opera murale realizzata su di una grande porta metallica, raffigurante una ragazza di spalle.
Ai più impavidi e curiosi viene data la possibilità di salire su delle scale e scoprire quale sorpresa si nascondeva nel “buco della serratura”. Io ovviamente voglio coprirlo subito.
Si tratta di una figura maschile. Entrambi i disegni sono realizzati con gli spray ma a me danno proprio la suggestione di un quadro perfettamente realizzato. Bellissimi i colori e bellissima la resa. Gli artisti sono Sebas Velasco e Xabier Anunzibai, entrambi provenienti dalla Spagna.
Destabilizzanti e probabilmente le più interessanti in termini di idea, le opere di Vlady (italiano) e dei collettivi russi Tundra e Kuril Chto. Il primo ci fa entrare in un labirinto fatto di transenne, in questa sala che sembra una sala macchine abbandonata da anni, con dei muri ammuffiti da cui spiccano queste enormi scritte. “This area is password protected” e una voce robotica in sottofondo le ripete continuamente. L’atmosfera è cupa, le luci illuminano solo le scritte alle pareti. L’installazione si conclude con questa grande bandiera europea bucata al centro, con delle scalette di legno in cui poter arrivare a sederti, esattamente di fronte a questa apertura sferica, quasi a sembrare il leone della Metro Goldwyn Mayer.
Tundra e Kuril Chto ti portano all’interno di una stanza completamente buia. La sensazione iniziale è destabilizzante. Ad un tratto si alzano contemporaneamente tanti spot di luci, taglienti e lineari, dapprima rosse e poi bianche. L’effetto del rosso era il più bello e durava parecchio. Il tempo di capire che si poteva arrivare dall’altra parte (facendo attenzione) e che la sala nascondeva dei murales, delle scritte in cirillico e altri elementi che solo in parte si potevano ammirare e notare. E’ stato bellissimo vivere all’interno di questa sala, muoversi attraverso le luci, osservarle cambiare direzione e colore facendoci scoprire cose sempre nuove di quell’ambiente.
Scegliere di citare alcune delle opere piuttosto che tutte è difficile, è una mostra davvero ben fatta, ogni cosa è posta al posto e al momento giusto, non c’è un’opera che mi ha delusa, dal bianco e nero esplosivo di Craig Costello (Stati Uniti) ai murales di Honet, fino perdersi negli enormi muri dai colori geometrici di Joys.
Sarebbe bello rimanere per la serata dal momento che prevede l’animarsi di stand “beverecci” brandizzati in modo originale e creativo. Anche la zona street food èpiacevole, da vedere e sicuramente anche da gustare. L’idea dei camioncini vintage che vendono cibarie è di gran successo, sopratutto in un contesto che la “chiama proprio”.
Infine, non posso non citare Glob dell’inglese Filthy Luker, forse come genere la mia preferita. Un enorme “blob” luminoso colorato e gonfiabile posto al di sopra di un edificio.
Filthy è un artista conosciuto per i suoi lavori di arte urbana, giganteschi, gonfiabili e dinamici che disorientano, fanno sorridere e stupiscono chi li guarda. Cerca di commentare attraverso le sue opere lo scontro tra l’uomo e la natura, l’urbanizzazione e il degrado metropolitano.
Buona Visione
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OUTDOOR FESTIVAL 2016, L’URBAN CHE CI PIACE
Tempo stimato per la lettura: 12 minuti
Sicuramente una mostra da non perdere, quella dell’Outdoor Festival 2016 e io penso di averla persa quando leggo sul mio telefono “Ti sarebbe tanto piaciuta, peccato che è finita”. Ad un passo dal buttarmi nel Tevere, scopro di avere ancora lunedì 31, e così, vado. Arrivo lì verso le 18 in piena apertura porte e scopro che c’è un percorso da seguire all’interno di questa enorme struttura urbana allestita sia all’interno che all’esterno.
L’ex Caserma Guida Reni, location bellissima, per chi, come me, ama il genere post-apocallittico da serie tv alla walking dead. Ho la sensazione di partecipare ad una specie di gioco…trova i padiglioni, trova l’artista, scopri le sale; complice ovviamente il posto davvero enorme e le sale divise tra loro da porte ideate con le immagini della mostra, ovviamente contestuali all’artista che sto vedendo. In queste immense camerate abbandonate spiccano le opere artistiche. Ogni artista ha saputo distinguersi creando un proprio legame con l’osservatore.
Cambio stanza e vengo catapultata in ambienti sempre diversi, tutti estremamente interessanti e originali, colorati, bui, a volte interattivi a volte piacevolmente osservabili, altri addirittura destabilizzanti. Le opere che mi colpiscono particolarmente sono diverse, la maggior parte delle quali prevede una componente di interazione.
Assolutamente da citare è quella che ho rinominato “il buco della serratura”, un’opera murale realizzata su di una grande porta metallica, raffigurante una ragazza di spalle.
Ai più impavidi e curiosi viene data la possibilità di salire su delle scale e scoprire quale sorpresa si nascondeva nel “buco della serratura”. Io ovviamente voglio coprirlo subito.
Si tratta di una figura maschile. Entrambi i disegni sono realizzati con gli spray ma a me danno proprio la suggestione di un quadro perfettamente realizzato. Bellissimi i colori e bellissima la resa. Gli artisti sono Sebas Velasco e Xabier Anunzibai, entrambi provenienti dalla Spagna.
Destabilizzanti e probabilmente le più interessanti in termini di idea, le opere di Vlady (italiano) e dei collettivi russi Tundra e Kuril Chto. Il primo ci fa entrare in un labirinto fatto di transenne, in questa sala che sembra una sala macchine abbandonata da anni, con dei muri ammuffiti da cui spiccano queste enormi scritte. “This area is password protected” e una voce robotica in sottofondo le ripete continuamente. L’atmosfera è cupa, le luci illuminano solo le scritte alle pareti. L’installazione si conclude con questa grande bandiera europea bucata al centro, con delle scalette di legno in cui poter arrivare a sederti, esattamente di fronte a questa apertura sferica, quasi a sembrare il leone della Metro Goldwyn Mayer.
Tundra e Kuril Chto ti portano all’interno di una stanza completamente buia. La sensazione iniziale è destabilizzante. Ad un tratto si alzano contemporaneamente tanti spot di luci, taglienti e lineari, dapprima rosse e poi bianche. L’effetto del rosso era il più bello e durava parecchio. Il tempo di capire che si poteva arrivare dall’altra parte (facendo attenzione) e che la sala nascondeva dei murales, delle scritte in cirillico e altri elementi che solo in parte si potevano ammirare e notare. E’ stato bellissimo vivere all’interno di questa sala, muoversi attraverso le luci, osservarle cambiare direzione e colore facendoci scoprire cose sempre nuove di quell’ambiente.
Scegliere di citare alcune delle opere piuttosto che tutte è difficile, è una mostra davvero ben fatta, ogni cosa è posta al posto e al momento giusto, non c’è un’opera che mi ha delusa, dal bianco e nero esplosivo di Craig Costello (Stati Uniti) ai murales di Honet, fino perdersi negli enormi muri dai colori geometrici di Joys.
Sarebbe bello rimanere per la serata dal momento che prevede l’animarsi di stand “beverecci” brandizzati in modo originale e creativo. Anche la zona street food èpiacevole, da vedere e sicuramente anche da gustare. L’idea dei camioncini vintage che vendono cibarie è di gran successo, sopratutto in un contesto che la “chiama proprio”.
Infine, non posso non citare Glob dell’inglese Filthy Luker, forse come genere la mia preferita. Un enorme “blob” luminoso colorato e gonfiabile posto al di sopra di un edificio.
Filthy è un artista conosciuto per i suoi lavori di arte urbana, giganteschi, gonfiabili e dinamici che disorientano, fanno sorridere e stupiscono chi li guarda. Cerca di commentare attraverso le sue opere lo scontro tra l’uomo e la natura, l’urbanizzazione e il degrado metropolitano.
Buona Visione
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