Performance art: l’arte nel dare se stessi
Tempo stimato per la lettura: 5,5 minuti
Le prime dimostrazioni della Performance Art avvengono in Europa intorno agli anni venti del secolo scorso, grazie alla nascita di delle avanguardie storiche: una serie di movimenti, letterari e artistici, come il futurismo, espressionismo, dadaismo e surrealismo, che si identificavano con la loro estremità, modernità e audacia. Proprio per queste caratteristiche, molte persone considerano la Performance Art il metodo più estremo per esprimere la propria creatività visto che l’opera è caratterizzata, dal corpo e dalla vita personale dell’artista stesso.
Ritornando, in particolare alla Performance Art cominciò ad essere sempre più presente agli inizi degli anni sessanta grazie al lavoro di grandi artisti come: Yoko Ono, Yayoi Kusama, Hermann Nitsch e tanti altri, ma in questo articolo vogliamo parlare dell’artista che si è soprannominata “nonna della performance art” cioè Marina Abramović.
L’artista serba ha rivoluzionato del tutto questo mondo, ogni sua opera ha la capacità suscitare rumore, scandalizzare il pubblico e molto spesso, le sue performance riescono a spaventare le persone presenti.
In diverse interviste, quando le viene chiesto da dove nasce la passione per la performance art, Marina Abramović racconta sempre questo aneddoto della sua infanzia.
“A quattordici anni chiesi a mio padre l’attrezzatura per dipingere a olio. Lui mi comprò tutto l’occorrente, e mi fissò una lezione con un suo vecchio amico partigiano, un artista che si chiamava Filipovic.
Filipovic tagliò un pezzo di tela e lo posò sul pavimento. Aprì un barattolo di colla e lo rovesciò sulla tela; aggiunse un po’ di sabbia e di pigmenti di vari colori – giallo, rosso e nero. Poi ci versò sopra mezzo litro di benzina, accese un fiammifero e fece esplodere tutto. “Questo è un tramonto,” disse. E se ne andò. Ne fui molto impressionata. Aspettai che la tela carbonizzata si raffreddasse, presi dei chiodini e la appesi con cautela alla parete. Poi partii per le vacanze con la mia famiglia. Al mio ritorno era rimasto solo un mucchietto di cenere e di sabbia sul pavimento. Il tramonto non esisteva più.”
Questo probabilmente è stato l’evento che ha suscitato l’amore di Marina Abramović verso questa visione artistica.
Se si pensa alla vita dell’artista, sono tre le tappe fondamentali della sua storia. Tre città che hanno segnato profondamente Marina Abramović: Belgrado, Amsterdam e New York.
Nella città serba cominciò la sua carriera artistica: iniziò, da giovane l’Accademia delle Belle Arti per poi insegnarci successivamente.
Dopo Belgrado si trasferì ad Amsterdam che è la città in cui incontro Ulay, anch’esso performance artist tedesco. Lui come Marina incentra le sue performance sul corpo, lo spazio e la società.
Oltre a lavorare insieme, Ulay è stato un partner fondamentale nella vita privata dell’artista serba.
I due ebbero un’intensissima storia d’amore, ma non solo, infatti lavorarono insieme in alcune delle opere che sono diventati molto importanti per entrambi come: Rest and Energy, dove per circa 4 minuti si tenevano aggrappati l’un con l’atro attraverso un arco ed una freccia: Marina era inclinata verso l’indietro tendendo in pugno l’arco mentre Ulay, che era sempre nella stessa posizione era aggrappato ad una freccia che puntava al cuore di lei, i due artisti si guardarono negli occhi per tutti e 4 i minuti e lo scopo era quello di dimostrare la fiducia reciproco.
Un esperimento sociale organizzato dai due artisti fu la performance del 1977 Impenderabilia, che si svolse nella Galleria Comunale d’ Arte Moderna a Bologna, dove i due, completamente nudi, si misero l’uno davanti all’ altro appoggiandosi alle pareti di un corridoio strettissimo e quello che dovevano fare gli spettatori era passare tra i due per entrare nel museo.
Durante gli anni passati insieme, Marina ed Ulay hanno regalato bellissime performance ai loro sostenitori, ed è per questo che anche il loro addio nel 1988 fu ritenuto un’opera d’arte soprannominata The Lover.
I due, per lasciarsi si recarono ognuno agli estremi della muraglia cinese, Marina iniziò la traversata dal Mar Giallo mentre lui inizio dal deserto del Goby per poi incontrarsi a metà strada e dirsi addio.
New York invece è la città dove risiede tutt’ora. Ed è proprio nella città americana che rincontrò Ulay 22 anni dopo il memorabile addio. L’incontro si tenne durante una delle sue performance, The artist is present.
Marina Abramović è stata presente per tre mesi al Moma, seduta davanti ad un tavolo al centro di una stanza dove ognuno poteva davanti all’artista per fissarla negli occhi.
Tra le opere più importanti dell’artista c’è anche la serie di Perfomance dal titolo Rhythm: caratterizzate dalle violenze che Marina Abramović applicava sul suo corpo, per portalo all’estremo dolore fisico.
Proprio su questa serie di prestazioni Marina esclamò: “Una volta che sei entrato nello stato dell’esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente” .
Sono principalmente due le performance dove l’artista rischiò entrambe le volte la vita.
La performance Rhythm 5 dove Marina Abramović si distese al centro di una stella di legno, che fu data alle fiamme. L’aria all’interno della stanza diventò sempre di più irrespirabile fino al punto in cui perse i sensi.
Un altro momento in cui l’artista rischiò la vita fu a Napoli nel 1974: in questo caso Marina Abramović era al centro di una stanza dove intorno a lei erano presenti vari oggetti, tra cui coltelli, corde, forbici e una pistola, agli spettatori presenti che ognuno avrebbe potuto fare ciò che voleva, lei sarebbe rimasta lì immobile. Passate delle ore, alcuni degli spettatori si scagliò con violenza verso l’artista: gli furono tagliati dei vestiti, utilizzarono delle lamette per tagliarle la pelle fino a che uno di loro non le punto la pistola contro, per fortuna non successe nulla.
Marina Abramović fu soddisfatta della sua performance perché aveva funzionato: è riuscita a tirar fuori il peggio dell’essere umano, che pur essendo cosciente che quello che sta assistendo è una performance artistica, è disposto a fare di tutto.
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Performance art: l’arte nel dare se stessi
Tempo stimato per la lettura: 16 minuti
Le prime dimostrazioni della Performance Art avvengono in Europa intorno agli anni venti del secolo scorso, grazie alla nascita di delle avanguardie storiche: una serie di movimenti, letterari e artistici, come il futurismo, espressionismo, dadaismo e surrealismo, che si identificavano con la loro estremità, modernità e audacia. Proprio per queste caratteristiche, molte persone considerano la Performance Art il metodo più estremo per esprimere la propria creatività visto che l’opera è caratterizzata, dal corpo e dalla vita personale dell’artista stesso.
Ritornando, in particolare alla Performance Art cominciò ad essere sempre più presente agli inizi degli anni sessanta grazie al lavoro di grandi artisti come: Yoko Ono, Yayoi Kusama, Hermann Nitsch e tanti altri, ma in questo articolo vogliamo parlare dell’artista che si è soprannominata “nonna della performance art” cioè Marina Abramović.
L’artista serba ha rivoluzionato del tutto questo mondo, ogni sua opera ha la capacità suscitare rumore, scandalizzare il pubblico e molto spesso, le sue performance riescono a spaventare le persone presenti.
In diverse interviste, quando le viene chiesto da dove nasce la passione per la performance art, Marina Abramović racconta sempre questo aneddoto della sua infanzia.
“A quattordici anni chiesi a mio padre l’attrezzatura per dipingere a olio. Lui mi comprò tutto l’occorrente, e mi fissò una lezione con un suo vecchio amico partigiano, un artista che si chiamava Filipovic.
Filipovic tagliò un pezzo di tela e lo posò sul pavimento. Aprì un barattolo di colla e lo rovesciò sulla tela; aggiunse un po’ di sabbia e di pigmenti di vari colori – giallo, rosso e nero. Poi ci versò sopra mezzo litro di benzina, accese un fiammifero e fece esplodere tutto. “Questo è un tramonto,” disse. E se ne andò. Ne fui molto impressionata. Aspettai che la tela carbonizzata si raffreddasse, presi dei chiodini e la appesi con cautela alla parete. Poi partii per le vacanze con la mia famiglia. Al mio ritorno era rimasto solo un mucchietto di cenere e di sabbia sul pavimento. Il tramonto non esisteva più.”
Questo probabilmente è stato l’evento che ha suscitato l’amore di Marina Abramović verso questa visione artistica.
Se si pensa alla vita dell’artista, sono tre le tappe fondamentali della sua storia. Tre città che hanno segnato profondamente Marina Abramović: Belgrado, Amsterdam e New York.
Nella città serba cominciò la sua carriera artistica: iniziò, da giovane l’Accademia delle Belle Arti per poi insegnarci successivamente.
Dopo Belgrado si trasferì ad Amsterdam che è la città in cui incontro Ulay, anch’esso performance artist tedesco. Lui come Marina incentra le sue performance sul corpo, lo spazio e la società.
Oltre a lavorare insieme, Ulay è stato un partner fondamentale nella vita privata dell’artista serba.
I due ebbero un’intensissima storia d’amore, ma non solo, infatti lavorarono insieme in alcune delle opere che sono diventati molto importanti per entrambi come: Rest and Energy, dove per circa 4 minuti si tenevano aggrappati l’un con l’atro attraverso un arco ed una freccia: Marina era inclinata verso l’indietro tendendo in pugno l’arco mentre Ulay, che era sempre nella stessa posizione era aggrappato ad una freccia che puntava al cuore di lei, i due artisti si guardarono negli occhi per tutti e 4 i minuti e lo scopo era quello di dimostrare la fiducia reciproco.
Un esperimento sociale organizzato dai due artisti fu la performance del 1977 Impenderabilia, che si svolse nella Galleria Comunale d’ Arte Moderna a Bologna, dove i due, completamente nudi, si misero l’uno davanti all’ altro appoggiandosi alle pareti di un corridoio strettissimo e quello che dovevano fare gli spettatori era passare tra i due per entrare nel museo.
Durante gli anni passati insieme, Marina ed Ulay hanno regalato bellissime performance ai loro sostenitori, ed è per questo che anche il loro addio nel 1988 fu ritenuto un’opera d’arte soprannominata The Lover.
I due, per lasciarsi si recarono ognuno agli estremi della muraglia cinese, Marina iniziò la traversata dal Mar Giallo mentre lui inizio dal deserto del Goby per poi incontrarsi a metà strada e dirsi addio.
New York invece è la città dove risiede tutt’ora. Ed è proprio nella città americana che rincontrò Ulay 22 anni dopo il memorabile addio. L’incontro si tenne durante una delle sue performance, The artist is present.
Marina Abramović è stata presente per tre mesi al Moma, seduta davanti ad un tavolo al centro di una stanza dove ognuno poteva davanti all’artista per fissarla negli occhi.
Tra le opere più importanti dell’artista c’è anche la serie di Perfomance dal titolo Rhythm: caratterizzate dalle violenze che Marina Abramović applicava sul suo corpo, per portalo all’estremo dolore fisico.
Proprio su questa serie di prestazioni Marina esclamò: “Una volta che sei entrato nello stato dell’esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente” .
Sono principalmente due le performance dove l’artista rischiò entrambe le volte la vita.
La performance Rhythm 5 dove Marina Abramović si distese al centro di una stella di legno, che fu data alle fiamme. L’aria all’interno della stanza diventò sempre di più irrespirabile fino al punto in cui perse i sensi.
Un altro momento in cui l’artista rischiò la vita fu a Napoli nel 1974: in questo caso Marina Abramović era al centro di una stanza dove intorno a lei erano presenti vari oggetti, tra cui coltelli, corde, forbici e una pistola, agli spettatori presenti che ognuno avrebbe potuto fare ciò che voleva, lei sarebbe rimasta lì immobile. Passate delle ore, alcuni degli spettatori si scagliò con violenza verso l’artista: gli furono tagliati dei vestiti, utilizzarono delle lamette per tagliarle la pelle fino a che uno di loro non le punto la pistola contro, per fortuna non successe nulla.
Marina Abramović fu soddisfatta della sua performance perché aveva funzionato: è riuscita a tirar fuori il peggio dell’essere umano, che pur essendo cosciente che quello che sta assistendo è una performance artistica, è disposto a fare di tutto.
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