Biancoshock, performer e urban artist: creare disturbo e un pizzico di sorpresa

About the Author: Alessia

biancoshock
Published On: 4 Luglio 2018

Tempo stimato per la lettura: 6,7 minuti

Come si legge dal sito “…osservando il suo percorso è evidente che non vi sia una “categoria” che possa contenere sia la sua attitudine urban, tipica dell’ Urban Art, che la modalità espressiva, appartenente all’arte più performativa ed attivista; per questo decide di dare vita a Ephemeralism”.
Biancoshock, un performer che ci ha colpito per la sua originalità, ha dato vita a Ephemeralism con lo scopo di produrre opere d’arte che esistano in maniera limitata nello spazio, ma che persistano in maniera infinita nel tempo attraverso la documentazione fotografica e video.
Ha realizzato più di 900 interventi per le strade di Italia, Albania, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Lituania, Malesia, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Singapore, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

Ci racconti un po’ di te, come sei arrivato ad essere un artista che spazia con diversi stili e diverse “tecniche di comunicazione”?
Son partito da un’esperienza decennale nel mondo dei graffiti. I graffiti mi hanno permesso di sviluppare una sensibilità nei confronti del contesto urbano, della città, dell’azione, della volontà di lasciare un segno. Poi ho iniziato a sentire l’esigenza di comunicare non più ad una nicchia ma ad un pubblico universale, senza distinzioni geografiche, culturali, religiose. E ho così iniziato a sperimentare una forma di arte pubblica che utilizzasse un linguaggio quanto più accessibile e comprensibile, cercando di attribuire un messaggio sociale ai miei interventi urbani.

Da cosa trai ispirazione per la tua arte “performativa”?
Da tutto ciò che mi circonda, da tutto ciò che non mi piace e che non comprendo di questa società. Parlo quasi sempre di tematiche attuali, che ognuno di noi vive nel proprio quotidiano. Non mi piace l’arte come puro esercizio tecnico/estetico, preferisco attuare interventi spontanei ma portatori di un messaggio universalmente comprensibile.

La parte più bella della tua attività.
L’indipendenza. Aver deciso di non volere sottostare alle logiche del mercato dell’arte, delle commissioni, dei galleristi, mi permette di vivere in totale serenità, libertà e profondità il mio percorso artistico. È davvero meraviglioso non dover rendere conto ad un committente o al gallerista di turno.

E quella più difficile.
L’indipendenza. Aver deciso di non volere sottostare alle logiche del mercato dell’arte, delle commissioni, dei galleristi, mi ha portato da sempre a dover autofinanziare la mia produzione, ad avere un lavoro normale che mi permetta di avere delle entrate per poter sostenere il mio progetto. E spesso questa situazione crea sconforto, dubbi, frustrazione, insoddisfazione.

Il tuo primo ricordo artistico (il primo ricordo in un museo, o ad una mostra…)
Non saprei, ma ricordo bene quando da ragazzino incontrai per la prima volta l’attuale Erotik dei VMD70’S. È stato il mio primo punto di riferimento e posso assicurare che il nostro primo incontro non fu in un museo…

A quale pubblico prevalentemente ti rivolgi?
Quello che ogni giorno percorre la strada per andare a lavoro, a scuola, a casa. Quello è il mio pubblico. Il mio pubblico si ‘scontra’ con un mio lavoro, io non scelgo il mio pubblico e loro non scelgono me, è semplicemente un incontro occasionale. Poi qualcuno si affeziona e, tramite i social network e i canali web, inizia a seguirmi.

Cosa significa, secondo te, essere creativi?
Vedere le cose non per quello che sono, ma per quello che possono essere o sembrare. Ogni oggetto, situazione o luogo ha una propria funzione, una propria identità. La mia scommessa è quella di utilizzare questi elementi per trasmettere un messaggio in modo originale, creativo appunto.
La creatività non è un dono, è insita nell’uomo, va allenata quotidianamente soprattutto in questo mondo bombardato da immagini e informazioni che creano facili blackout creativi. Vivo in costante crisi creativa, ma forse è questa la cosa più stimolante per chi lavora con le idee.

In quale momento o in quali momenti della giornata ti senti più ispirato…
Non esistono momenti buoni, le idee sono sempre nell’aria, arriva un momento in cui un’idea smette di volare e mi cade addosso.

I tuoi punti di riferimento nell’Arte…
Harmen de Hoop, Bruno Munari, Elfo, the WA.

La tua definizione di Urban Art…
Un insieme di azioni pubbliche che riescono a conferire dei messaggi rivolti a coloro che ogni giorno percorrono le strade e possono trovarsi davanti ad un’opera d’arte senza dover necessariamente entrare in un museo.

Cosa segui? Cosa ti piace studiare, osservare, ascoltare…
Seguo solo ed esclusivamente l’istinto. Ci sono dei momenti, come questo, in cui non riesco ad ascoltare il mio istinto, non riesco a ricevere degli input da lui e mi blocco completamente. Per il resto mi piace osservare nei minimi dettagli il contesto urbano e le persone che lo vivono, i suoi colori, le sue forme e i suoi rumori. Da qui spesso nascono i miei lavori.

Cosa ne pensi della rivoluzione digitale, dove i social sono i mezzi preferenziali per condividere e commentare?
I social oggigiorno sono un mezzo estremamente potente, forse fin troppo. Non posso nascondere che senza i social nessuno si sarebbe accorto dei miei lavori e utilizzo questi per diffondere e rendere eterno interventi urbani che nello spazio fisico durano ore, al massimo giorni. Detto questo siamo entrati in un loop senza ritorno, dove la bravura si basa sul like, sul numero di follower, i curatori ti chiamano solo se hai tanto hype. Questo dovrebbe far riflettere su che direzione stia prendendo la cosa…con artisti senza background che nell’arco di 6 mesi si impongono in rete con sponsorizzazioni e lavori emozional-commerciali. Ma alla fine è la parte divertente del web, vedremo chi rimarrà alla fine di questo momento di culmine della street art.

Cosa ti emoziona?
I video documentari di graffiti, i live di E-Green, le mail di supporto che mi arrivano tutti i giorni da persone che, a volte, vivono dall’altra parte del globo.

Quanti squilli del telefono, prima di rispondere..
Troppi. Non ho mai tenuto la suoneria del cellulare attiva nella mia vita, per cui gran parte delle chiamate me le perdo.

Da bambino chi volevi diventare?
Un artista. Ci sono andato vicino, dai.

Estero vs Italia: dove si vive o si lavora meglio, secondo te…
Per quanto mi riguarda lavoro bene (artisticamente parlando) in ogni posto che visito. Questo perché prima di andare in un posto me lo studio nei particolari, nella sua storia, nelle sue usanze. Ogni posto è a sé e racconta della propria storia, per cui si impara sempre. Dove vivere? L’Italia è un Paese pieno di problemi, incongruenze e falsi miti, ma io non voglio abbandonarlo. Ci ho pensato molte volte, ma il mio Paese è questo. Stimo chi ha cercato fortuna altrove, ma non lo invidio. Ognuno è felice nel posto che si ritaglia, che si costruisce giorno dopo giorno, sia esso nel proprio Paese che dalla parte diametralmente opposta.

Quali pensieri animano le persone che ti guardano mentre sei al lavoro?
Non saprei, dovremmo chiederlo a loro. Probabilmente penseranno che non ho niente di meglio da fare, che è un gioco, un momento ludico, che la crisi crea strani scherzi. Non saprei proprio, spero solo di creare loro un po’ di disturbo e un pizzico di sorpresa.

Domanda finale irrinunciabile: progetti per il futuro…
Arrivare a 1.000 interventi urbani realizzati in strada e dimenticarmene il giorno dopo.

Web: biancoshock.com
FB: Biancoshock
Instagram: biancoshock
Twitter: @Biancoshock

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Published On: 4 Luglio 2018

About the Author: Alessia

Tempo stimato per la lettura: 20 minuti

Come si legge dal sito “…osservando il suo percorso è evidente che non vi sia una “categoria” che possa contenere sia la sua attitudine urban, tipica dell’ Urban Art, che la modalità espressiva, appartenente all’arte più performativa ed attivista; per questo decide di dare vita a Ephemeralism”.
Biancoshock, un performer che ci ha colpito per la sua originalità, ha dato vita a Ephemeralism con lo scopo di produrre opere d’arte che esistano in maniera limitata nello spazio, ma che persistano in maniera infinita nel tempo attraverso la documentazione fotografica e video.
Ha realizzato più di 900 interventi per le strade di Italia, Albania, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Lituania, Malesia, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Singapore, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

Ci racconti un po’ di te, come sei arrivato ad essere un artista che spazia con diversi stili e diverse “tecniche di comunicazione”?
Son partito da un’esperienza decennale nel mondo dei graffiti. I graffiti mi hanno permesso di sviluppare una sensibilità nei confronti del contesto urbano, della città, dell’azione, della volontà di lasciare un segno. Poi ho iniziato a sentire l’esigenza di comunicare non più ad una nicchia ma ad un pubblico universale, senza distinzioni geografiche, culturali, religiose. E ho così iniziato a sperimentare una forma di arte pubblica che utilizzasse un linguaggio quanto più accessibile e comprensibile, cercando di attribuire un messaggio sociale ai miei interventi urbani.

Da cosa trai ispirazione per la tua arte “performativa”?
Da tutto ciò che mi circonda, da tutto ciò che non mi piace e che non comprendo di questa società. Parlo quasi sempre di tematiche attuali, che ognuno di noi vive nel proprio quotidiano. Non mi piace l’arte come puro esercizio tecnico/estetico, preferisco attuare interventi spontanei ma portatori di un messaggio universalmente comprensibile.

La parte più bella della tua attività.
L’indipendenza. Aver deciso di non volere sottostare alle logiche del mercato dell’arte, delle commissioni, dei galleristi, mi permette di vivere in totale serenità, libertà e profondità il mio percorso artistico. È davvero meraviglioso non dover rendere conto ad un committente o al gallerista di turno.

E quella più difficile.
L’indipendenza. Aver deciso di non volere sottostare alle logiche del mercato dell’arte, delle commissioni, dei galleristi, mi ha portato da sempre a dover autofinanziare la mia produzione, ad avere un lavoro normale che mi permetta di avere delle entrate per poter sostenere il mio progetto. E spesso questa situazione crea sconforto, dubbi, frustrazione, insoddisfazione.

Il tuo primo ricordo artistico (il primo ricordo in un museo, o ad una mostra…)
Non saprei, ma ricordo bene quando da ragazzino incontrai per la prima volta l’attuale Erotik dei VMD70’S. È stato il mio primo punto di riferimento e posso assicurare che il nostro primo incontro non fu in un museo…

A quale pubblico prevalentemente ti rivolgi?
Quello che ogni giorno percorre la strada per andare a lavoro, a scuola, a casa. Quello è il mio pubblico. Il mio pubblico si ‘scontra’ con un mio lavoro, io non scelgo il mio pubblico e loro non scelgono me, è semplicemente un incontro occasionale. Poi qualcuno si affeziona e, tramite i social network e i canali web, inizia a seguirmi.

Cosa significa, secondo te, essere creativi?
Vedere le cose non per quello che sono, ma per quello che possono essere o sembrare. Ogni oggetto, situazione o luogo ha una propria funzione, una propria identità. La mia scommessa è quella di utilizzare questi elementi per trasmettere un messaggio in modo originale, creativo appunto.
La creatività non è un dono, è insita nell’uomo, va allenata quotidianamente soprattutto in questo mondo bombardato da immagini e informazioni che creano facili blackout creativi. Vivo in costante crisi creativa, ma forse è questa la cosa più stimolante per chi lavora con le idee.

In quale momento o in quali momenti della giornata ti senti più ispirato…
Non esistono momenti buoni, le idee sono sempre nell’aria, arriva un momento in cui un’idea smette di volare e mi cade addosso.

I tuoi punti di riferimento nell’Arte…
Harmen de Hoop, Bruno Munari, Elfo, the WA.

La tua definizione di Urban Art…
Un insieme di azioni pubbliche che riescono a conferire dei messaggi rivolti a coloro che ogni giorno percorrono le strade e possono trovarsi davanti ad un’opera d’arte senza dover necessariamente entrare in un museo.

Cosa segui? Cosa ti piace studiare, osservare, ascoltare…
Seguo solo ed esclusivamente l’istinto. Ci sono dei momenti, come questo, in cui non riesco ad ascoltare il mio istinto, non riesco a ricevere degli input da lui e mi blocco completamente. Per il resto mi piace osservare nei minimi dettagli il contesto urbano e le persone che lo vivono, i suoi colori, le sue forme e i suoi rumori. Da qui spesso nascono i miei lavori.

Cosa ne pensi della rivoluzione digitale, dove i social sono i mezzi preferenziali per condividere e commentare?
I social oggigiorno sono un mezzo estremamente potente, forse fin troppo. Non posso nascondere che senza i social nessuno si sarebbe accorto dei miei lavori e utilizzo questi per diffondere e rendere eterno interventi urbani che nello spazio fisico durano ore, al massimo giorni. Detto questo siamo entrati in un loop senza ritorno, dove la bravura si basa sul like, sul numero di follower, i curatori ti chiamano solo se hai tanto hype. Questo dovrebbe far riflettere su che direzione stia prendendo la cosa…con artisti senza background che nell’arco di 6 mesi si impongono in rete con sponsorizzazioni e lavori emozional-commerciali. Ma alla fine è la parte divertente del web, vedremo chi rimarrà alla fine di questo momento di culmine della street art.

Cosa ti emoziona?
I video documentari di graffiti, i live di E-Green, le mail di supporto che mi arrivano tutti i giorni da persone che, a volte, vivono dall’altra parte del globo.

Quanti squilli del telefono, prima di rispondere..
Troppi. Non ho mai tenuto la suoneria del cellulare attiva nella mia vita, per cui gran parte delle chiamate me le perdo.

Da bambino chi volevi diventare?
Un artista. Ci sono andato vicino, dai.

Estero vs Italia: dove si vive o si lavora meglio, secondo te…
Per quanto mi riguarda lavoro bene (artisticamente parlando) in ogni posto che visito. Questo perché prima di andare in un posto me lo studio nei particolari, nella sua storia, nelle sue usanze. Ogni posto è a sé e racconta della propria storia, per cui si impara sempre. Dove vivere? L’Italia è un Paese pieno di problemi, incongruenze e falsi miti, ma io non voglio abbandonarlo. Ci ho pensato molte volte, ma il mio Paese è questo. Stimo chi ha cercato fortuna altrove, ma non lo invidio. Ognuno è felice nel posto che si ritaglia, che si costruisce giorno dopo giorno, sia esso nel proprio Paese che dalla parte diametralmente opposta.

Quali pensieri animano le persone che ti guardano mentre sei al lavoro?
Non saprei, dovremmo chiederlo a loro. Probabilmente penseranno che non ho niente di meglio da fare, che è un gioco, un momento ludico, che la crisi crea strani scherzi. Non saprei proprio, spero solo di creare loro un po’ di disturbo e un pizzico di sorpresa.

Domanda finale irrinunciabile: progetti per il futuro…
Arrivare a 1.000 interventi urbani realizzati in strada e dimenticarmene il giorno dopo.

Web: biancoshock.com
FB: Biancoshock
Instagram: biancoshock
Twitter: @Biancoshock

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