Incontriamo Olmo Amato, fotografo: “I miei scatti sono frutto di una ricerca interiore”
Tempo stimato per la lettura: 4,3 minuti
Proseguono i nostri incontri con i vincitori della Biennale MArteLive che dunp e ViviCreativo intendono premiare. Questa è la volta di Olmo Amato, giovane fotografo pieno di talento, vincitore della sezione “Fotografia” della scorsa Edizione.
Quando hai cominciato la tua carriera artistica? Qual è stata “l’urgenza” che ti ha mosso?
Ho iniziato sperimentando le prime tecniche digitali nel 2010, posso dire che tutti i miei progetti fotografici hanno origine dai viaggi che ho fatto. “Rinascite” in particolare è nato in Nord Europa, dopo quaranta giorni passati tra Finlandia e Norvegia. Guidando tra Helsinki e Capo Nord, mi sono ritrovato a percorrere luoghi incontaminati. L’aspetto sorprendente di quei posti è la loro incredibile luce naturale: i crepuscoli infiniti e l’assenza della notte erano capaci di farmi perdere la cognizione del tempo. Man mano che procedevo verso nord le tracce dell’uomo scomparivano, il tempo si faceva sospeso, gli ambienti rarefatti, l’alba e il tramonto si fondevano l’una con l’altro. Quello che molto spesso mi guida all’inizio è cercare di ritrovare quella sospensione del tempo e del pensiero, quasi uno stato di trance, che riesco a raggiungere solo se immerso completamente nella natura. Mi piace pensare che le immagini dei paesaggi che fotografo si comportino alla stregua di campi magnetici in grado di attirare presenze: immagini che attirano a sé altre immagini. Ho scoperto che alcune fotografie d’epoca, cristallizzate nel tempo per più di cento anni, hanno il potere di essere fortemente attratte dai alcuni dei miei paesaggi. È così che ho iniziato a sperimentare con la tecnica del fotomontaggio. Da lì è nata l’esigenza di continuare a giocare con quel tipo di immagini, di trovare nuove combinazioni possibili e, infine, vedere cosa succede quando queste raggiungono occhi diversi dai miei. Sono molto curioso di sapere cosa la gente vede nelle mie opere, questo è uno dei motivi per cui mi piace mostrare il mio lavoro.
Cosa significa per te la parola “creatività”?
Il viaggio di cui parlavo non si ferma alla sola ricerca di luoghi suggestivi dove scattare belle fotografie, ma è un vero e proprio percorso di ricerca interiore. La mia guida è la necessità di entrare in contatto con il mio io più profondo ed incanalare nel processo creativo entrambi gli aspetti della mia personalità: quello più razionale, meticoloso e scientifico e quello viscerale, più emotivo e infantile. La parola creatività per me è uno spiraglio di luce in questo flusso, un processo da mettere in atto: attingere dal caos di una parte profonda per far emergere un’idea e incanalarla verso un risultato concreto.
Attraverso i tuoi lavori, quale messaggio vorresti arrivasse?
Mi piace pensare che i miei lavori possano essere accolti in maniera anche molto differente dalle persone che incontro. Non mi piace dare spiegazioni, ma suscitare emozioni e interrogativi. Ognuno è un grado di trovare la sua risposta, e spesso alcune persone ne hanno di più interessanti di quelle che potrei dare io.
Come è stata l’esperienza alla Biennale MarteLive?
MaAtelive è stata un’esperienza interessante, sicuramente la visibilità che può dare a chi si avvicina al campo dell’arte dopo una vittoria è una cosa molto buona. Il contesto è ricco, raccoglie molte discipline, e le serate sono accompagnate da concerti e spettacoli interessanti. Le persone che hanno potuto vedere il mio lavoro sono state tante e questo fa sempre piacere. La fortuna di aver vinto, sicuramente oltre alla visibilità al pubblico, mi ha potuto mettere in connessione con altre realtà, come ad esempio “Fondazione con Il Sud”, con cui sono in corso dei nuovi progetti di collaborazione artistica.
Qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti…
Al momento sto lavorando a un progetto dal cuore Giapponese dal titolo “Ki kio (Ritorno a casa)”, qualcosa di tecnicamente molto simile al precedente, con la differenza di utilizzare materiale d’archivio esclusivamente giapponese fuso a fotografie scattate durante un mio recente viaggio in Giappone. Le foto rappresentano figure femminili dei primi del novecento in abiti tradizionali, immerse in foreste di bambù. L’idea che mi ha sempre affascinato sin dall’inizio è come quelle figure di donne in Kimono, fotograficamente cristallizzate nel tempo, possano essere liberate dall’emulsione “argentica” in cui si trovano confinate. Grazie a un’alchimia digitale, dopo più di un secolo, possono finalmente ritornare in intimità con le loro radici e sentirsi nuovamente a “casa”, assorte in un istante eterno di riflessione.
Tutte le foto, inoltre, sono rigorosamente stampate su carte washi tradizionali adattate per la stampa fotografica a pigmenti.
Alcune immagini del progetto sono state presentate in anteprima a Bologna a Setup Contemporary Art Fair 2018, con cui sono stato premiato come miglior artista under 35 della fiera. Spero di riuscire a completare e presentare presto questa nuova serie.
Web: Olmo Amato
Fb: Olmo Amato
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Incontriamo Olmo Amato, fotografo: “I miei scatti sono frutto di una ricerca interiore”
Tempo stimato per la lettura: 13 minuti
Proseguono i nostri incontri con i vincitori della Biennale MArteLive che dunp e ViviCreativo intendono premiare. Questa è la volta di Olmo Amato, giovane fotografo pieno di talento, vincitore della sezione “Fotografia” della scorsa Edizione.
Quando hai cominciato la tua carriera artistica? Qual è stata “l’urgenza” che ti ha mosso?
Ho iniziato sperimentando le prime tecniche digitali nel 2010, posso dire che tutti i miei progetti fotografici hanno origine dai viaggi che ho fatto. “Rinascite” in particolare è nato in Nord Europa, dopo quaranta giorni passati tra Finlandia e Norvegia. Guidando tra Helsinki e Capo Nord, mi sono ritrovato a percorrere luoghi incontaminati. L’aspetto sorprendente di quei posti è la loro incredibile luce naturale: i crepuscoli infiniti e l’assenza della notte erano capaci di farmi perdere la cognizione del tempo. Man mano che procedevo verso nord le tracce dell’uomo scomparivano, il tempo si faceva sospeso, gli ambienti rarefatti, l’alba e il tramonto si fondevano l’una con l’altro. Quello che molto spesso mi guida all’inizio è cercare di ritrovare quella sospensione del tempo e del pensiero, quasi uno stato di trance, che riesco a raggiungere solo se immerso completamente nella natura. Mi piace pensare che le immagini dei paesaggi che fotografo si comportino alla stregua di campi magnetici in grado di attirare presenze: immagini che attirano a sé altre immagini. Ho scoperto che alcune fotografie d’epoca, cristallizzate nel tempo per più di cento anni, hanno il potere di essere fortemente attratte dai alcuni dei miei paesaggi. È così che ho iniziato a sperimentare con la tecnica del fotomontaggio. Da lì è nata l’esigenza di continuare a giocare con quel tipo di immagini, di trovare nuove combinazioni possibili e, infine, vedere cosa succede quando queste raggiungono occhi diversi dai miei. Sono molto curioso di sapere cosa la gente vede nelle mie opere, questo è uno dei motivi per cui mi piace mostrare il mio lavoro.
Cosa significa per te la parola “creatività”?
Il viaggio di cui parlavo non si ferma alla sola ricerca di luoghi suggestivi dove scattare belle fotografie, ma è un vero e proprio percorso di ricerca interiore. La mia guida è la necessità di entrare in contatto con il mio io più profondo ed incanalare nel processo creativo entrambi gli aspetti della mia personalità: quello più razionale, meticoloso e scientifico e quello viscerale, più emotivo e infantile. La parola creatività per me è uno spiraglio di luce in questo flusso, un processo da mettere in atto: attingere dal caos di una parte profonda per far emergere un’idea e incanalarla verso un risultato concreto.
Attraverso i tuoi lavori, quale messaggio vorresti arrivasse?
Mi piace pensare che i miei lavori possano essere accolti in maniera anche molto differente dalle persone che incontro. Non mi piace dare spiegazioni, ma suscitare emozioni e interrogativi. Ognuno è un grado di trovare la sua risposta, e spesso alcune persone ne hanno di più interessanti di quelle che potrei dare io.
Come è stata l’esperienza alla Biennale MarteLive?
MaAtelive è stata un’esperienza interessante, sicuramente la visibilità che può dare a chi si avvicina al campo dell’arte dopo una vittoria è una cosa molto buona. Il contesto è ricco, raccoglie molte discipline, e le serate sono accompagnate da concerti e spettacoli interessanti. Le persone che hanno potuto vedere il mio lavoro sono state tante e questo fa sempre piacere. La fortuna di aver vinto, sicuramente oltre alla visibilità al pubblico, mi ha potuto mettere in connessione con altre realtà, come ad esempio “Fondazione con Il Sud”, con cui sono in corso dei nuovi progetti di collaborazione artistica.
Qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti…
Al momento sto lavorando a un progetto dal cuore Giapponese dal titolo “Ki kio (Ritorno a casa)”, qualcosa di tecnicamente molto simile al precedente, con la differenza di utilizzare materiale d’archivio esclusivamente giapponese fuso a fotografie scattate durante un mio recente viaggio in Giappone. Le foto rappresentano figure femminili dei primi del novecento in abiti tradizionali, immerse in foreste di bambù. L’idea che mi ha sempre affascinato sin dall’inizio è come quelle figure di donne in Kimono, fotograficamente cristallizzate nel tempo, possano essere liberate dall’emulsione “argentica” in cui si trovano confinate. Grazie a un’alchimia digitale, dopo più di un secolo, possono finalmente ritornare in intimità con le loro radici e sentirsi nuovamente a “casa”, assorte in un istante eterno di riflessione.
Tutte le foto, inoltre, sono rigorosamente stampate su carte washi tradizionali adattate per la stampa fotografica a pigmenti.
Alcune immagini del progetto sono state presentate in anteprima a Bologna a Setup Contemporary Art Fair 2018, con cui sono stato premiato come miglior artista under 35 della fiera. Spero di riuscire a completare e presentare presto questa nuova serie.
Web: Olmo Amato
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