Il fotografo Mathieu Pernot tra intimità e storia
Tempo stimato per la lettura: 4,5 minuti
Vincitore del Premio Henri Cartier-Bresson 2019, Mathieu Pernot presenta alla Fondazione HCB di Parigi, dal 8 marzo al 19 giugno 2022, La rovina di casa sua (La ruine de sa demeure), un “pellegrinaggio” in immagini frammentato tra Libano, Siria e Iraq. Punto di partenza e mappa fisico- spirituale l’album fotografico di un viaggio compiuto, nel 1926, da suo nonno. Un percorso che vede le due generazioni a confronto da Beirut a Mosul, tra le rovine di civiltà millenarie del Medio Oriente e quelle delle tragedie della storia recente.
L’esposizione, curata da Agnès Sire, direttrice artistica della Fondazione HCB, presenta una cinquanta scatti di Pernot, l’album fotografico di suo nonno, alcuni scatti dell’archivio di famiglia insieme a immagini recenti delle case distrutte di Beirut, Mosul… Con una sensibilità prossima al documentario, Mathieu Pernot svela un’opera dialettica che interroga la giustapposizione delle narrazioni della grande storia e quelle della sua storia familiare.
Uno sguardo su territori attraversati dal tempo
Nel settembre 2019, Mathieu Pernot inizia il suo progetto a Beirut, dove i suoi nonni e suo padre hanno vissuto dal 1925 fino alla partenza di quest’ultimo per la Francia, nel 1958. Grazie alla sua ricerca, il fotografo francese scopre, durante questo primo viaggio, l’appartamento di famiglia. «A Beirut, il caso ha voluto che l’appartamento in cui mio padre è cresciuto – dopo che la sua famiglia si era trasferita da Tripoli, città dove era nato – , fosse in affitto su AIRBNB. Cosi’ ho avuto la possibilità di dormire in quella che era stata la sua camera da bambino », racconta il fotografo durante il vernissage dell’esposizione.
Ma quando torna nella capitale libanese, dopo l’esplosione del porto il 4 agosto 2020, l’edificio è inaccessibile perché minaccia collassare. « Le balaustre dei balconi della casa di mio padre erano state proiettate in strada. Il proprietario dell’immobile le ha usate come transenne per bloccare l’accesso al palazzo». Mathieu Pernot è così confrontato, e intimamente legato, alla fragile storia del Paese dei Cedri.
Un viaggio tra le rovine della storia
Nonostante i numerosi ostacoli legati alla pandemia e alle difficoltà di accesso ad alcune aree di tensione, il fotografo è riuscito a oltrepassare le frontiere del viaggio di suo nonno perseguendo fino ad Aleppo e a Mosul. « Un viaggio tra le rovine della storia » come lo descrive lo stesso autore.
« L’album di mio nonno è stata una porta d’entrata di questo viaggio », spiega Mathieu Pernot, che aggiunge « il percorso dell’esposizione è concepito cronologicamente e geograficamente. Come un archeologo ho voluto riunire dei frammenti d’immagini per ricostruire un luogo. All’inizio non pensavo di fotografare le persone, ma vedere vivere uomini, donne, bambini tra quelle macerie nella loro quotidianità, mi ha fatto cambiare idea».
Documentare una quotidianità ricca di simboli
Dal Libano all’Iraq, Mathieu Pernot continua ad essere il testimone di scene di desolazione, lontano dalle fotografie di famiglia o di viaggio scattate dal nonno quasi un secolo prima di lui. Da un lato, lo splendore dei siti archeologici come Baalbek in Libano, “immutabile vestigia di civiltà” (Hala Kodmani) o la pianura di Ninive in Iraq. D’altra parte, le città distrutte da disastri e guerre dei recenti anni, come Homs, Aleppo o Mosul.
« Sono partito ignorando ingenuamente i pericoli che un viaggio in Siria poteva rappresentare per un fotografo francese. Tramite conoscenze ho ottenuto un persmesso turistico. E come un turista ho fotografato, scattando in continuazione, senza perdere tempo, perché non sapevo quanto e cosa mi sarebbe stato concesso di fotografare. Si acquisisce un’acuità dell’immagine, per cogliere momenti per queste persone “banali”, ma per me cariche di significato ». Come il ritratto di Bashar al-Assad, appeso a un gancio in una macelleria nel shouk di Aleppo, il volto di colui che viene definito “il macellaio di Damasco”.
Uno sguardo analitico sulla storia
Nato nel 1970, Mathieu Pernot si è diplomato nel 1996 alla Scuola Nazionale di Fotografia di Arles. Il suo lavoro è stato insignito del premio Nadar nel 2013, il Premio Niépce nel 2014 — anno della sua mostra La Traversée al Jeu de Paume (Parigi) — e il Premio Henri Cartier-Bresson nel 2019. Mathieu Pernot ha realizzato i suoi primi lavori sulla dolorosa storia delle popolazioni zingare. Da quel momento in poi ha voluto mostrare i luoghi più diversi di reclusione. Al crocevia tra storia, sociologia e antropologia, le sue fotografie permettono di guardare in modo analitico la storia, di darle una forma.
Memoria e scomparsa occupano un posto centrale nei suoi progetti. Allo stesso modo è spesso presente la rappresentazione dell’architettura, sintomo di momenti di cambiamento politico. Immagini pre-esistenti come cartoline, fototessera, scatti d’archivio e personali costituiscono la materia prima di un lavoro di editing, vicino al documentario. Attraverso il suo approccio impegnato e trasversale, l’artista si inserisce nella tradizione della fotografia politica.
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Il fotografo Mathieu Pernot tra intimità e storia
Tempo stimato per la lettura: 13 minuti
Vincitore del Premio Henri Cartier-Bresson 2019, Mathieu Pernot presenta alla Fondazione HCB di Parigi, dal 8 marzo al 19 giugno 2022, La rovina di casa sua (La ruine de sa demeure), un “pellegrinaggio” in immagini frammentato tra Libano, Siria e Iraq. Punto di partenza e mappa fisico- spirituale l’album fotografico di un viaggio compiuto, nel 1926, da suo nonno. Un percorso che vede le due generazioni a confronto da Beirut a Mosul, tra le rovine di civiltà millenarie del Medio Oriente e quelle delle tragedie della storia recente.
L’esposizione, curata da Agnès Sire, direttrice artistica della Fondazione HCB, presenta una cinquanta scatti di Pernot, l’album fotografico di suo nonno, alcuni scatti dell’archivio di famiglia insieme a immagini recenti delle case distrutte di Beirut, Mosul… Con una sensibilità prossima al documentario, Mathieu Pernot svela un’opera dialettica che interroga la giustapposizione delle narrazioni della grande storia e quelle della sua storia familiare.
Uno sguardo su territori attraversati dal tempo
Nel settembre 2019, Mathieu Pernot inizia il suo progetto a Beirut, dove i suoi nonni e suo padre hanno vissuto dal 1925 fino alla partenza di quest’ultimo per la Francia, nel 1958. Grazie alla sua ricerca, il fotografo francese scopre, durante questo primo viaggio, l’appartamento di famiglia. «A Beirut, il caso ha voluto che l’appartamento in cui mio padre è cresciuto – dopo che la sua famiglia si era trasferita da Tripoli, città dove era nato – , fosse in affitto su AIRBNB. Cosi’ ho avuto la possibilità di dormire in quella che era stata la sua camera da bambino », racconta il fotografo durante il vernissage dell’esposizione.
Ma quando torna nella capitale libanese, dopo l’esplosione del porto il 4 agosto 2020, l’edificio è inaccessibile perché minaccia collassare. « Le balaustre dei balconi della casa di mio padre erano state proiettate in strada. Il proprietario dell’immobile le ha usate come transenne per bloccare l’accesso al palazzo». Mathieu Pernot è così confrontato, e intimamente legato, alla fragile storia del Paese dei Cedri.
Un viaggio tra le rovine della storia
Nonostante i numerosi ostacoli legati alla pandemia e alle difficoltà di accesso ad alcune aree di tensione, il fotografo è riuscito a oltrepassare le frontiere del viaggio di suo nonno perseguendo fino ad Aleppo e a Mosul. « Un viaggio tra le rovine della storia » come lo descrive lo stesso autore.
« L’album di mio nonno è stata una porta d’entrata di questo viaggio », spiega Mathieu Pernot, che aggiunge « il percorso dell’esposizione è concepito cronologicamente e geograficamente. Come un archeologo ho voluto riunire dei frammenti d’immagini per ricostruire un luogo. All’inizio non pensavo di fotografare le persone, ma vedere vivere uomini, donne, bambini tra quelle macerie nella loro quotidianità, mi ha fatto cambiare idea».
Documentare una quotidianità ricca di simboli
Dal Libano all’Iraq, Mathieu Pernot continua ad essere il testimone di scene di desolazione, lontano dalle fotografie di famiglia o di viaggio scattate dal nonno quasi un secolo prima di lui. Da un lato, lo splendore dei siti archeologici come Baalbek in Libano, “immutabile vestigia di civiltà” (Hala Kodmani) o la pianura di Ninive in Iraq. D’altra parte, le città distrutte da disastri e guerre dei recenti anni, come Homs, Aleppo o Mosul.
« Sono partito ignorando ingenuamente i pericoli che un viaggio in Siria poteva rappresentare per un fotografo francese. Tramite conoscenze ho ottenuto un persmesso turistico. E come un turista ho fotografato, scattando in continuazione, senza perdere tempo, perché non sapevo quanto e cosa mi sarebbe stato concesso di fotografare. Si acquisisce un’acuità dell’immagine, per cogliere momenti per queste persone “banali”, ma per me cariche di significato ». Come il ritratto di Bashar al-Assad, appeso a un gancio in una macelleria nel shouk di Aleppo, il volto di colui che viene definito “il macellaio di Damasco”.
Uno sguardo analitico sulla storia
Nato nel 1970, Mathieu Pernot si è diplomato nel 1996 alla Scuola Nazionale di Fotografia di Arles. Il suo lavoro è stato insignito del premio Nadar nel 2013, il Premio Niépce nel 2014 — anno della sua mostra La Traversée al Jeu de Paume (Parigi) — e il Premio Henri Cartier-Bresson nel 2019. Mathieu Pernot ha realizzato i suoi primi lavori sulla dolorosa storia delle popolazioni zingare. Da quel momento in poi ha voluto mostrare i luoghi più diversi di reclusione. Al crocevia tra storia, sociologia e antropologia, le sue fotografie permettono di guardare in modo analitico la storia, di darle una forma.
Memoria e scomparsa occupano un posto centrale nei suoi progetti. Allo stesso modo è spesso presente la rappresentazione dell’architettura, sintomo di momenti di cambiamento politico. Immagini pre-esistenti come cartoline, fototessera, scatti d’archivio e personali costituiscono la materia prima di un lavoro di editing, vicino al documentario. Attraverso il suo approccio impegnato e trasversale, l’artista si inserisce nella tradizione della fotografia politica.
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