Bamiyan, venti anni dopo
Tempo stimato per la lettura: 3,5 minuti
L’11 marzo 2001, i talebani che hanno preso il potere in Afghanistan, ignorando tutti gli appelli internazionali, organizzano la distruzione di due monumentali Buddha scolpiti nella roccia di Bamiyan. Le statue erano rispettivamente di 38 e di 55 metri d’altezza, la prima risaliva a 1800 anni fa, mentre la seconda aveva 1500 anni. Delle opere dal valore universale, testimoni della straordinaria vitalità dell’arte buddista in quella valle, situata sulla Via della Seta e aperta a molteplici influenze culturali: indiane, greche, romane …
Diffuse dai talebani, le immagini della distruzione hanno fatto il giro mondo, sei mesi prima di quelle delle Torri gemelle del World Trade Center a New York. Questi due eventi hanno segnato l’ingresso nel XXI° secolo. L’attacco alla memoria degli uomini, alla loro eredità, questo gesto è stato riconosciuto come un crimine contro l’umanità.
Due decenni dopo, il Museo Nazionale delle Arti Asiatiche – Guimet ha scelto di commemorare la distruzione del sito di Bamiyan attraverso una mostra in cui sono presentate alcune importanti opere archeologiche rinvenute in questa zona afghana. L’esposizione Delle immagini e degli uomini, Bamiyan 20 anni dopo – curata da Sophie Makariou, presidente del MNAAG, e Pierre Cambon, conservatore capo delle collezioni Corea, Pakistan et Afghanistan del Guimet – è arricchita dalle fotografie dell’artista Pascal Convert, che mettono in valore la ricchezza di questo patrimonio in chiave contemporanea.
Inoltre, l’evento rende omaggio a Joseph e Ria Hackin, archeologi di Bamiyan e curatori del museo, morti 80 anni fa, e autori, della prima guida alla visita del sito, oggi consacrata come uno dei punti più importanti dell’arte buddista.
Anche se il museo è ancora chiuso al pubblico, a causa della crisi sanitaria, il MNAGG aprirà le sue porte in rete, inaugurando l’esposizione su Facebook il 24 febbraio alle 19h00.
Opere archeologiche e fotografie contemporanee
Il MNAGG presenta una serie di opere archeologiche uniche: dal Gandhara al periodo islamico. In particolare, due mani in ceramica di Buddha monumentali, del V° e VI° secolo, che hanno conservato una parte della foglia d’oro che le ricopriva. Ad accompagnare questi lavori, le fotografie di Pascal Convert, i cui scatti offrono una panoramica sulla realtà di questi luoghi oggi, insieme ad alcuni film e documenti d’archivio.
La mostra racconta la storia del sito di Bamiyan e la sua vitalità culturale dal VI° al XIII° secolo, le cause politico-religiose che hanno portato alla disintegrazione dei due Buddha nel 2001 e altre terribili distruzioni di siti considerati patrimonio dell’umanità.
Tutte le opere sono presentate al primo piano del museo, nella sala sino-tibetana arredata per l’occasione.
La scuola archeologica francese
La Francia è particolarmente legata alla conservazione dell’archeologia e della memoria dell’Afghanistan, paese in cui ha creato, nel 1922, una delegazione archeologica – ora Direzione Archeologica dell’Afghanistan – ancora oggi unico istituto archeologico straniero permanente in Afghanistan.
Dominando la valle, le pareti rocciose di Bamiyan si trovano su una delle più alte e importanti rotte commerciali che collegano l’Asia centrale al subcontinente indiano. Come quelli di Dunhuang in Cina, sono costituite da loess, un materiale che si presta alla scultura.
In questo luogo eccezionale d’arte e cultura, furono realizzati i primi scavi francesi. A questi appassionati rende omaggio quest’esposizione, grazie al cui lavoro, oggi è possibile ricostruire la memoria di opere distrutte dall’uomo. Memoria che dev’essere assolutamente preservata.
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Bamiyan, venti anni dopo
Tempo stimato per la lettura: 10 minuti
L’11 marzo 2001, i talebani che hanno preso il potere in Afghanistan, ignorando tutti gli appelli internazionali, organizzano la distruzione di due monumentali Buddha scolpiti nella roccia di Bamiyan. Le statue erano rispettivamente di 38 e di 55 metri d’altezza, la prima risaliva a 1800 anni fa, mentre la seconda aveva 1500 anni. Delle opere dal valore universale, testimoni della straordinaria vitalità dell’arte buddista in quella valle, situata sulla Via della Seta e aperta a molteplici influenze culturali: indiane, greche, romane …
Diffuse dai talebani, le immagini della distruzione hanno fatto il giro mondo, sei mesi prima di quelle delle Torri gemelle del World Trade Center a New York. Questi due eventi hanno segnato l’ingresso nel XXI° secolo. L’attacco alla memoria degli uomini, alla loro eredità, questo gesto è stato riconosciuto come un crimine contro l’umanità.
Due decenni dopo, il Museo Nazionale delle Arti Asiatiche – Guimet ha scelto di commemorare la distruzione del sito di Bamiyan attraverso una mostra in cui sono presentate alcune importanti opere archeologiche rinvenute in questa zona afghana. L’esposizione Delle immagini e degli uomini, Bamiyan 20 anni dopo – curata da Sophie Makariou, presidente del MNAAG, e Pierre Cambon, conservatore capo delle collezioni Corea, Pakistan et Afghanistan del Guimet – è arricchita dalle fotografie dell’artista Pascal Convert, che mettono in valore la ricchezza di questo patrimonio in chiave contemporanea.
Inoltre, l’evento rende omaggio a Joseph e Ria Hackin, archeologi di Bamiyan e curatori del museo, morti 80 anni fa, e autori, della prima guida alla visita del sito, oggi consacrata come uno dei punti più importanti dell’arte buddista.
Anche se il museo è ancora chiuso al pubblico, a causa della crisi sanitaria, il MNAGG aprirà le sue porte in rete, inaugurando l’esposizione su Facebook il 24 febbraio alle 19h00.
Opere archeologiche e fotografie contemporanee
Il MNAGG presenta una serie di opere archeologiche uniche: dal Gandhara al periodo islamico. In particolare, due mani in ceramica di Buddha monumentali, del V° e VI° secolo, che hanno conservato una parte della foglia d’oro che le ricopriva. Ad accompagnare questi lavori, le fotografie di Pascal Convert, i cui scatti offrono una panoramica sulla realtà di questi luoghi oggi, insieme ad alcuni film e documenti d’archivio.
La mostra racconta la storia del sito di Bamiyan e la sua vitalità culturale dal VI° al XIII° secolo, le cause politico-religiose che hanno portato alla disintegrazione dei due Buddha nel 2001 e altre terribili distruzioni di siti considerati patrimonio dell’umanità.
Tutte le opere sono presentate al primo piano del museo, nella sala sino-tibetana arredata per l’occasione.
La scuola archeologica francese
La Francia è particolarmente legata alla conservazione dell’archeologia e della memoria dell’Afghanistan, paese in cui ha creato, nel 1922, una delegazione archeologica – ora Direzione Archeologica dell’Afghanistan – ancora oggi unico istituto archeologico straniero permanente in Afghanistan.
Dominando la valle, le pareti rocciose di Bamiyan si trovano su una delle più alte e importanti rotte commerciali che collegano l’Asia centrale al subcontinente indiano. Come quelli di Dunhuang in Cina, sono costituite da loess, un materiale che si presta alla scultura.
In questo luogo eccezionale d’arte e cultura, furono realizzati i primi scavi francesi. A questi appassionati rende omaggio quest’esposizione, grazie al cui lavoro, oggi è possibile ricostruire la memoria di opere distrutte dall’uomo. Memoria che dev’essere assolutamente preservata.
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