Carlo Gori: la street art incontra il pubblico e ogni volta si mette in gioco
Tempo stimato per la lettura: 9,1 minuti
Continuano le nostre incursioni nell’arte urbana: in questa intervista, l’artista multidisciplinare Carlo Gori – che vive in Italia ma che ha base anche in Giappone – (afferma di essere “uno sperimentatore per necessità e piacere”), uno fra principali collaboratori del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia di Roma – si racconta. È tra gli artisti che hanno risposto alla chiamata del progetto MACRO Asilo di Giorgio De Finis del Museo MACRO (Museo D’arte Contemporanea Roma) e quando gli chiedo di darmi una definizione su cosa significhi per lui street art, risponde: “La street art è l’arte che si muove tra le persone, in strada come al bar, che vuole incontrare il proprio pubblico per mettersi in gioco, che si nutre della vita e dell’esperienza che fa nel mondo aggregando quelle delle altre persone”.
Qual è la tua definizione di street art?
È l’arte che si muove tra le persone, in strada come al bar, che vuole incontrare il proprio pubblico per mettersi in gioco, che si nutre della vita e dell’esperienza che fa nel mondo, aggregando quelle delle altre persone. È l’arte che non fa distinzioni tra l’alto ed il basso, diventando invece strumento per fare da ponte tra diverse culture, in primis nell’ambito della propria comunità, poi nella società in senso più ampio, superando tanti confini, mentali soprattutto, di classe, ecc. È un’arte politica, perché si autodetermina senza attendere di essere benedetta e sostenuta, per poi essere controllata e gestita. È un’arte che può esserci come non esserci, ma che sta diventando sempre più indispensabile, perché molte persone non si danno davvero spazio per la propria libertà creativa ed espressiva. È un’arte che non ama le definizioni e che, quando se le dà, è già morta. Essendo puro spirito soffre a causa di chi si esprime contro lo spirito, contro la libertà ed il rispetto di tutti. D’altra parte, queste osservazioni, le assocerei all’arte in senso lato. E così io non sono uno street artist e non pratico street art, se non per un tag su Instagram. Sono semplicemente una persona che vuole esprimersi creativamente e trovare occasioni d’incontro senza veli, con tutti, mettendo in primo piano anche il bene della mia comunità. Essendo nato teatrante, ancora praticante, la pelle è il mio primo strumento di contatto ed espressione, e, quando pratico la pittura o altro, non mi dimentico di questo. Sono associato alla street art perché diversi progetti che curo e a cui partecipo, come “Morandi a colori” e “Pinacci Nostri”, lasciano dei segni evidenti nella nostra città, per le strade, con tantissime opere; ma d’altra parte non si muovono nell’ambito della street art come quella che si conosceva una volta, quella della libera espressione dell’artista, illegale e apparentemente vandalo, spesso in polemica con la società in cui vive. Sono cosciente che il mio impegno vuole essere strumento per contribuire a dare maggior consapevolezza alle persone che vivono nella comunità in cui opero, affinché si diventi, tutt’insieme, più responsabili ed attivi per costruire il nostro bene comune.
Quali tecniche utilizzi oggi e quali sono le tue preferite?
Essendo un artista multidisciplinare mi esprimo attraverso tanti medium diversi, non dando particolare attenzione alla tecnica, ma piuttosto a quello che ho da esprimere. Non posso dirmi, per esempio, di essere un vero e proprio pittore, anche se negli anni ho comunque raggiunto una certa competenza in merito, perché mi è chiara la distinzione tra come lavoro io e che cosa farebbe, invece, un vero e proprio pittore. Sono, invece, uno sperimentatore per necessità e piacere. Per necessità perché, spesso, bene o male, affronto discorsi tecnici che se dovessi percorrerli tutti dall’inizio, avrei necessità, ogni volta, di avere una vita in più da dedicare a loro. Per piacere, perché è come tornare ogni volta bambino per impiastricciarsi! D’altra parte impadronirmi un po’ di percorsi diversi, mi nutre davvero tantissimo e nutre quelle strane cose che faccio, che poi possono venire catalogate in diverse categorie, vedi poesia, pittura, street art, teatro, video, cinematografia, installazioni, scultura ecc…Per la pittura su muro prediligo pennelli ed acrilici.
Come nasce un’idea? Quando decidi il soggetto da realizzare?
Le idee arrivano sempre, o nella mia mente, o su suggerimento e richiesta di altre persone, in relazione a quanto sto percorrendo. A volte anche improvvisando. In genere sono delle intuizioni che faccio crescere dentro di me, sviluppandone vari piani di complessità, che poi restituisco rielaborate in forme che si sono pure allontanate dalle idee originali.
Ci racconti la tua attività all’interno del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia?
Per il MAAM faccio tante cose, che partono dal fornire assistenza agli artisti che vengono a donare il loro lavoro. L’azione più evidente del mio impegno è data dalle visite guidate che offro gratuitamente ai suoi tanti visitatori. Ormai, nei 6 anni di vita del MAAM, ne ho fatte più di 600, ritenendole uno strumento indispensabile per fare comprendere le peculiarità di questo progetto che, attraverso l’arte, difende il diritto all’abitare, ma non solo, delle persone che lo abitano. In massima parte sono migranti di tante etnie differenti, con una presenza molto significativa di famiglie rom. Stiamo parlando dell’ex salumificio Fiorucci di Via Prenestina 913 a Roma, che è stato occupato nel 2009 e con il quale collaboro dalla fine del 2009, prima soprattutto come mediatore culturale, considerato che sono un attivatore culturale ed artistico dell’area limitrofa e che potevo essere utile per il loro ambientamento in zona, evitando anche che si alzasse l’aggressività dei miei concittadini contro di loro. Ora sono pure un suo abitante e Metropoliz ed il suo museo sono per me un’esperienza fondamentale. Al MAAM l’arte non è solo questione estetica, diventa invece politica attiva a difesa dei più deboli. Per il MAAM realizzo e supporto workshop creativi, performance, opere, eventi, progettazione territoriale…Al momento sto ultimando una grande opera che accompagna le persone lungo le scale del corpo fabbrica più grande e che ha per titolo qualcosa come “Tutta l’umanità ha diritto alla ricerca della propria felicità”: migliaia e migliaia di volti, tutti diversi che, come un fiume, salgono e trasbordano fino all’ultimo piano. L’idea è di superare la dicotomia tra noi e gli altri, ma di vederci tutti, davvero, come parte di un’umanità che ha analoghe esigenze, bisogni e sogni, che vanno rispettati in ogni caso.
È cambiato il tuo messaggio rispetto a quando hai iniziato?
La mia arte ha sempre avuto la persona umana al suo centro, e anche l’umanità in genere. Questo interesse non si è mai spento, ma si è senz’altro evoluto grazie ad una più profonda conoscenza della vita, per poi declinarsi in tante maniere differenti.
Come la street art può essere foriera di nuove opportunità, in ambito artistico e/o di business?
Se la street art rimarrà espressione di libertà, sarà sempre foriera di opportunità, occasioni, fantastiche esperienze. Certo rischia di spingersi troppo verso la comunicazione e l’autopromozione, anche in funzione di darsi dei benefici economici, o di essere a servizio propagandistico delle istituzioni e del loro desiderio di rappresentazione. Confido, in ogni caso, negli artisti e nella loro consapevolezza perché il tutto si sviluppi al meglio!
A chi è più difficile spiegare ciò che fai e ciò che sei?
In genere a chi mi vede come uno stereotipo e non è evidentemente disponibile a conoscermi.
“Il talento, è l’audacia, lo spirito libero, le idee ampie” (Anton Cechov). Che ne pensi?
Il talento può esserci e spesso non è audace per niente. A volte l’essere predisposti a far bene qualcosa, ti rende molto conservatore e poco sperimentatore. Tantissime persone hanno ucciso il loro talento, senza vera pietà, con solo, ogni tanto, qualche lacrima da coccodrillo. Non darei forza all’aspetto del talento, che, secondo me, è troppo enfatizzato in generale, ma all’essere spirito libero in senso più ampio, come spirito che desidera costruirsi la propria libertà, trovando dentro di sé ed in relazione agli altri le risorse per superarsi e diventare migliore come persona. Facendo tutto questo il valore di noi stessi cresce, così come la nostra espressione e realizzazione, dando un vero sapore a tutto, in primis alle nostre idee, che possono essere pure stimolanti per gli altri.
I tuoi prossimi progetti…
I lettori magari non lo sanno, ma una parte della mia attività si sta svolgendo in Giappone. Sono da poco tornato da lì dove ho realizzato dei murales, varie opere su tela, una piccola mostra, incontrando tantissimi artisti.
Il Giappone è sempre stato centrale tra i miei obiettivi negli ultimi 10 anni, dandomi anche delle belle soddisfazioni personali. Il mio obiettivo è quello di sviluppare il tutto ancora meglio, anche creando continui scambi Italia – Giappone. In questo senso, con un movimento artistico molto importante giapponese che è stato fondato da Shõzo Shimamoto, AU – Art Unidentified, stiamo progettando il nostro intervento al MACRO Asilo di Giorgio De Finis (il progetto che guiderà il MACRO, il Museo di Arte Contemporanea di Roma, per i prossimi 15 mesi), dove probabilmente saremo per giugno 2019. Senz’altro, poi, molto del mio impegno sarà destinato al MAAM, a far sì che possa diventare sempre più un luogo significativo per l’arte e per una consapevolezza sociale e politica, nonché per il benessere dei suoi abitanti. Proseguirò anche la mia azione con i progetti “Pinacci Nostri” e “Morandi a colori”, e svilupperò alcuni percorsi pedagogici con scuole e realtà associative; con l’idea anche di approfondire una collaborazione che ha ormai due anni di storia, quella con Villa Medici, l’Accademia di Francia a Roma, per la quale ho realizzato quest’anno, insieme a degli studenti del Liceo Linguistico Seneca, quattro opere per la sala dedicata alle attività didattiche. Con Villa Medici abbiamo fatto pure un progetto molto interessante in collaborazione con la Scuola Primaria Emily Dickinson di Tor Sapienza che, davvero, mi piacerebbe poter proseguire.
FB: Carlo Gori
Instagram: @carlogori
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Carlo Gori: la street art incontra il pubblico e ogni volta si mette in gioco
Tempo stimato per la lettura: 27 minuti
Continuano le nostre incursioni nell’arte urbana: in questa intervista, l’artista multidisciplinare Carlo Gori – che vive in Italia ma che ha base anche in Giappone – (afferma di essere “uno sperimentatore per necessità e piacere”), uno fra principali collaboratori del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia di Roma – si racconta. È tra gli artisti che hanno risposto alla chiamata del progetto MACRO Asilo di Giorgio De Finis del Museo MACRO (Museo D’arte Contemporanea Roma) e quando gli chiedo di darmi una definizione su cosa significhi per lui street art, risponde: “La street art è l’arte che si muove tra le persone, in strada come al bar, che vuole incontrare il proprio pubblico per mettersi in gioco, che si nutre della vita e dell’esperienza che fa nel mondo aggregando quelle delle altre persone”.
Qual è la tua definizione di street art?
È l’arte che si muove tra le persone, in strada come al bar, che vuole incontrare il proprio pubblico per mettersi in gioco, che si nutre della vita e dell’esperienza che fa nel mondo, aggregando quelle delle altre persone. È l’arte che non fa distinzioni tra l’alto ed il basso, diventando invece strumento per fare da ponte tra diverse culture, in primis nell’ambito della propria comunità, poi nella società in senso più ampio, superando tanti confini, mentali soprattutto, di classe, ecc. È un’arte politica, perché si autodetermina senza attendere di essere benedetta e sostenuta, per poi essere controllata e gestita. È un’arte che può esserci come non esserci, ma che sta diventando sempre più indispensabile, perché molte persone non si danno davvero spazio per la propria libertà creativa ed espressiva. È un’arte che non ama le definizioni e che, quando se le dà, è già morta. Essendo puro spirito soffre a causa di chi si esprime contro lo spirito, contro la libertà ed il rispetto di tutti. D’altra parte, queste osservazioni, le assocerei all’arte in senso lato. E così io non sono uno street artist e non pratico street art, se non per un tag su Instagram. Sono semplicemente una persona che vuole esprimersi creativamente e trovare occasioni d’incontro senza veli, con tutti, mettendo in primo piano anche il bene della mia comunità. Essendo nato teatrante, ancora praticante, la pelle è il mio primo strumento di contatto ed espressione, e, quando pratico la pittura o altro, non mi dimentico di questo. Sono associato alla street art perché diversi progetti che curo e a cui partecipo, come “Morandi a colori” e “Pinacci Nostri”, lasciano dei segni evidenti nella nostra città, per le strade, con tantissime opere; ma d’altra parte non si muovono nell’ambito della street art come quella che si conosceva una volta, quella della libera espressione dell’artista, illegale e apparentemente vandalo, spesso in polemica con la società in cui vive. Sono cosciente che il mio impegno vuole essere strumento per contribuire a dare maggior consapevolezza alle persone che vivono nella comunità in cui opero, affinché si diventi, tutt’insieme, più responsabili ed attivi per costruire il nostro bene comune.
Quali tecniche utilizzi oggi e quali sono le tue preferite?
Essendo un artista multidisciplinare mi esprimo attraverso tanti medium diversi, non dando particolare attenzione alla tecnica, ma piuttosto a quello che ho da esprimere. Non posso dirmi, per esempio, di essere un vero e proprio pittore, anche se negli anni ho comunque raggiunto una certa competenza in merito, perché mi è chiara la distinzione tra come lavoro io e che cosa farebbe, invece, un vero e proprio pittore. Sono, invece, uno sperimentatore per necessità e piacere. Per necessità perché, spesso, bene o male, affronto discorsi tecnici che se dovessi percorrerli tutti dall’inizio, avrei necessità, ogni volta, di avere una vita in più da dedicare a loro. Per piacere, perché è come tornare ogni volta bambino per impiastricciarsi! D’altra parte impadronirmi un po’ di percorsi diversi, mi nutre davvero tantissimo e nutre quelle strane cose che faccio, che poi possono venire catalogate in diverse categorie, vedi poesia, pittura, street art, teatro, video, cinematografia, installazioni, scultura ecc…Per la pittura su muro prediligo pennelli ed acrilici.
Come nasce un’idea? Quando decidi il soggetto da realizzare?
Le idee arrivano sempre, o nella mia mente, o su suggerimento e richiesta di altre persone, in relazione a quanto sto percorrendo. A volte anche improvvisando. In genere sono delle intuizioni che faccio crescere dentro di me, sviluppandone vari piani di complessità, che poi restituisco rielaborate in forme che si sono pure allontanate dalle idee originali.
Ci racconti la tua attività all’interno del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia?
Per il MAAM faccio tante cose, che partono dal fornire assistenza agli artisti che vengono a donare il loro lavoro. L’azione più evidente del mio impegno è data dalle visite guidate che offro gratuitamente ai suoi tanti visitatori. Ormai, nei 6 anni di vita del MAAM, ne ho fatte più di 600, ritenendole uno strumento indispensabile per fare comprendere le peculiarità di questo progetto che, attraverso l’arte, difende il diritto all’abitare, ma non solo, delle persone che lo abitano. In massima parte sono migranti di tante etnie differenti, con una presenza molto significativa di famiglie rom. Stiamo parlando dell’ex salumificio Fiorucci di Via Prenestina 913 a Roma, che è stato occupato nel 2009 e con il quale collaboro dalla fine del 2009, prima soprattutto come mediatore culturale, considerato che sono un attivatore culturale ed artistico dell’area limitrofa e che potevo essere utile per il loro ambientamento in zona, evitando anche che si alzasse l’aggressività dei miei concittadini contro di loro. Ora sono pure un suo abitante e Metropoliz ed il suo museo sono per me un’esperienza fondamentale. Al MAAM l’arte non è solo questione estetica, diventa invece politica attiva a difesa dei più deboli. Per il MAAM realizzo e supporto workshop creativi, performance, opere, eventi, progettazione territoriale…Al momento sto ultimando una grande opera che accompagna le persone lungo le scale del corpo fabbrica più grande e che ha per titolo qualcosa come “Tutta l’umanità ha diritto alla ricerca della propria felicità”: migliaia e migliaia di volti, tutti diversi che, come un fiume, salgono e trasbordano fino all’ultimo piano. L’idea è di superare la dicotomia tra noi e gli altri, ma di vederci tutti, davvero, come parte di un’umanità che ha analoghe esigenze, bisogni e sogni, che vanno rispettati in ogni caso.
È cambiato il tuo messaggio rispetto a quando hai iniziato?
La mia arte ha sempre avuto la persona umana al suo centro, e anche l’umanità in genere. Questo interesse non si è mai spento, ma si è senz’altro evoluto grazie ad una più profonda conoscenza della vita, per poi declinarsi in tante maniere differenti.
Come la street art può essere foriera di nuove opportunità, in ambito artistico e/o di business?
Se la street art rimarrà espressione di libertà, sarà sempre foriera di opportunità, occasioni, fantastiche esperienze. Certo rischia di spingersi troppo verso la comunicazione e l’autopromozione, anche in funzione di darsi dei benefici economici, o di essere a servizio propagandistico delle istituzioni e del loro desiderio di rappresentazione. Confido, in ogni caso, negli artisti e nella loro consapevolezza perché il tutto si sviluppi al meglio!
A chi è più difficile spiegare ciò che fai e ciò che sei?
In genere a chi mi vede come uno stereotipo e non è evidentemente disponibile a conoscermi.
“Il talento, è l’audacia, lo spirito libero, le idee ampie” (Anton Cechov). Che ne pensi?
Il talento può esserci e spesso non è audace per niente. A volte l’essere predisposti a far bene qualcosa, ti rende molto conservatore e poco sperimentatore. Tantissime persone hanno ucciso il loro talento, senza vera pietà, con solo, ogni tanto, qualche lacrima da coccodrillo. Non darei forza all’aspetto del talento, che, secondo me, è troppo enfatizzato in generale, ma all’essere spirito libero in senso più ampio, come spirito che desidera costruirsi la propria libertà, trovando dentro di sé ed in relazione agli altri le risorse per superarsi e diventare migliore come persona. Facendo tutto questo il valore di noi stessi cresce, così come la nostra espressione e realizzazione, dando un vero sapore a tutto, in primis alle nostre idee, che possono essere pure stimolanti per gli altri.
I tuoi prossimi progetti…
I lettori magari non lo sanno, ma una parte della mia attività si sta svolgendo in Giappone. Sono da poco tornato da lì dove ho realizzato dei murales, varie opere su tela, una piccola mostra, incontrando tantissimi artisti.
Il Giappone è sempre stato centrale tra i miei obiettivi negli ultimi 10 anni, dandomi anche delle belle soddisfazioni personali. Il mio obiettivo è quello di sviluppare il tutto ancora meglio, anche creando continui scambi Italia – Giappone. In questo senso, con un movimento artistico molto importante giapponese che è stato fondato da Shõzo Shimamoto, AU – Art Unidentified, stiamo progettando il nostro intervento al MACRO Asilo di Giorgio De Finis (il progetto che guiderà il MACRO, il Museo di Arte Contemporanea di Roma, per i prossimi 15 mesi), dove probabilmente saremo per giugno 2019. Senz’altro, poi, molto del mio impegno sarà destinato al MAAM, a far sì che possa diventare sempre più un luogo significativo per l’arte e per una consapevolezza sociale e politica, nonché per il benessere dei suoi abitanti. Proseguirò anche la mia azione con i progetti “Pinacci Nostri” e “Morandi a colori”, e svilupperò alcuni percorsi pedagogici con scuole e realtà associative; con l’idea anche di approfondire una collaborazione che ha ormai due anni di storia, quella con Villa Medici, l’Accademia di Francia a Roma, per la quale ho realizzato quest’anno, insieme a degli studenti del Liceo Linguistico Seneca, quattro opere per la sala dedicata alle attività didattiche. Con Villa Medici abbiamo fatto pure un progetto molto interessante in collaborazione con la Scuola Primaria Emily Dickinson di Tor Sapienza che, davvero, mi piacerebbe poter proseguire.
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