David Diavù Vecchiato, artista e street artist: “Il futuro è solo un’ipotesi”

About the Author: Alessia

Published On: 11 Maggio 2019

Tempo stimato per la lettura: 8,8 minuti

David Diavù Vecchiato, fra i più noti artisti in Italia, lavora spesso attraverso l’Arte Urbana – termine che preferisce usare al posto di Street Art.
In questa intervista su ViviCreativo ha raccontato la sua passione per il Cinema, la Letteratura, la Musica, la Poesia e…la Natura.

Dall’ 11 maggio è al M.U.Ro – Museo Urban di Roma per parlare di street art a partire dalle periferie, dando una visione sulle prospettive future.

David Diavù Vecchiato è un artista, curatore e musicista nato a Roma tra i più noti e attivi street artist italiani ed è sulla scena editoriale e creativa dagli inizi degli Anni Novanta. Oltre ad aver pubblicato numerosi fumetti, copertine e illustrazioni (su La Repubblica, La Repubblica XL, Frigidaire, Blue, Il Cuore, Alias, Linus, Rockstar, Rumore), la sua prima partecipazione a una esposizione collettiva è del 1996 all’Happening Internazionale Underground di Roma e Milano, che gli ha dedicato la prima personale nel 2002.
Numerose le mostre in Europa, Asia e negli Stati Uniti.
Alterna l‘attività visual e curatoriale alla musica. È consulente di collezionisti privati e direttore artistico del progetto Mondopop, che promuove artisti di tutto il mondo vendendo opere e producendo mostre, performance, installazioni ed eventi live. Cura il Festival itinerante di Urban Art, Lowbrow e Pop Surrealism “Urban Superstar Show”.
Dal 2010 è curatore del progetto di Street Art MURo Museo Urban di Roma, museo a cielo aperto da lui ideato e dal 2015 collabora con Sky Arte.
Dal 2016 è ideatore e curatore del progetto GRAArt per conto di ANAS, progetto di Urban Art realizzato a Roma e patrocinato dal MiBAC.
Insegna Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Istituto Europeo di Design di Roma.

Ci puoi raccontare da cosa è nata la tua passione per il Cinema? E per le donne del Cinema in particolare?
Posso dirti che quando frequentavo ancora all’Istituto d’Arte sono andato ad aspettare Federico Fellini sotto casa finché non sono riuscito a conoscerlo, ho inseguito Nanni Loy in metropolitana e ne ho combinate altre di questo genere, proprio per la grande passione che nutrivo nei confronti di questo linguaggio e di alcuni dei suoi autori. Da amante del disegno, dei libri e della musica per me il Cinema – e idem il Cinema d’animazione – è sempre stato un linguaggio attraente forse proprio per la sua peculiarità di utilizzare testo, immagine e suono. A un certo punto ho iniziato a utilizzare nelle mie opere d’arte urbana alcune immagini e personaggi tratti da film perché è un buon mezzo per parlare al cuore delle persone. Se il senso della tua opera puoi esprimerlo con un volto di un’attrice o un fotogramma reinterpetati da te, perché non farlo? Ad esempio col progetto Popstairs delle scalinate dipinte ho voluto esprimere l’esigenza di vedere più monumenti ‘al femminile’ nelle nostre città. Esprimere questo desiderio attraverso sguardi di attrici che ti osservano da quelle scalinate mi è sembrato del tutto naturale.

Come scegli i tuoi soggetti?
Il processo dell’ispirazione è complesso, a volte ti viene in mente l’immagine inaspettatamente e ti devi sbrigare a schizzarla sullo sketchbook prima che la dimentichi, altre volte sei tu a stimolare un’immagine perché il concept ti frulla in testa da un po’ e devi trovare assolutamente il modo migliore per esprimerlo. I soggetti veri e propri che dipingerò arrivano dopo questa prima fase di solito, e richiedono spesso sedute fotografiche in studio con modelli e la realizzazione di diversi bozzetti. Questo accade a meno che non si stia parlando di opere di Street Art o comunque realizzate in spazi condivisi e all’aperto che mi fanno venire in mente subito il soggetto. Ad esempio la testa di cavallo di Donatello che ho reinterpretato sulla scalinata di ingresso laterale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è stato il primo soggetto che mi è saltato in mente appena visitato il museo. Così come quando vedo un luogo abbandonato fatiscente mi viene in mente che potrei dipingerci il Totòbolik, il mio mix tra Totò e Diabolik che rappresenta per me la potenziale speculazione che può facilmente verificarsi in quei luoghi, soprattutto se ignorati, ed è stata la scena di Totò che raggira un turista ignaro (e ignorante) vendendogli la Fontana di Trevi in “Totò Truffa” a ispirarmi quel personaggio.

Quali tecniche utilizzi?
Nelle opere pittoriche in studio utilizzo un po’ tutto, la tecnica è al servizio dell’idea. Nelle opere di Street Art uso soprattutto gli stencil con gli smalti spray e le vernici a base acrilica coi pennelli, nei grandi murales prevalentemente uso acrilico e pennelli.

Cosa significa per te “essere un creativo”? Che significato ha la parola creatività?
È una professione, che comporta difficili scelte di vita. “Essere un creativo” non è soltanto avere idee, perché tutti hanno un’immaginazione chi più e chi meno fervida, e tutti sotto la giusta guida possono diventare bravi a disegnare, a dipingere, a scolpire, suonare, cantare, girare film, e così via, se la loro sensibilità li spinge a farlo. È però la forza di volontà per trasformare quell’attitudine molto comune in una scelta personale decisa e definitiva. Poi subentrano la ricerca artistica e stilistica, la forza della propria proposta artistica, il talento e molti altri fattori che fanno di un comune creativo un vero artista.

Che differenze vedi tra la street art che si fa oggi rispetto a quella degli esordi? Al di là dell’aumento degli street artist, delle tecniche e dei lavori realizzati, c’è qualcosa, secondo te, che sta cambiando profondamente?
In ogni campo agli esordi c’è più genuinità e passione, e così è stato per la Street Art. Oggi vedo diverse sensibilità in campo, dunque proposte di diverso spessore che chiamerei comunque più Arte Pubblica che Street Art. Le proposte più grossolane sono quelle di coloro a cui basta conoscere un amministratore pubblico, essere capaci di trovare e compilare bandi, sapere dove trovare finanziatori privati e definirsi “appassionati” di Street Art per ritenersi ‘professionisti’. Quelli che insomma ritengono che intervenire esteticamente su panorami pubblici condivisi possa essere una questione di improvvisazione. Tra questi ci sono spesso anche degli amministratori pubblici locali che non hanno alcuna capacità di selezionare né artisti, né organizzazioni che producono arte, essendo spesso ignoranti su queste tematiche. Molti di questi amministratori pubblici però hanno compreso il potenziale di comunicazione e di ‘distrazione’ della cosiddetta “riqualificazione urbana” e quindi ci si buttano a pesce e sono contenti di presenziare a destra e a sinistra a inaugurazioni di murales, come una volta andavano a inaugurare autostrade e ponti, ma oggi con molto meno dispendio di soldi e di mezzi. Molti altri progetti sono invece ovviamente validi, e sono quelli che hanno curatori con competenze, esperienza e sensibilità giusta nei confronti dei luoghi in cui si va ad intervenire con le opere d’arte, quelli che pagano gli artisti e che li fanno lavorare in sicurezza e tranquillità, quelli che insomma non sono.
Per il resto, quello che vedo cambiare è che c’è sempre più ampia diffusione in tutto il mondo del fare arte in strada. Quello che piacerebbe a me che cambiasse è che anche gli architetti iniziassero ad accorgersi di questo fenomeno e che riprendessero man mano a collaborare con gli artisti visivi nel progettare gli edifici, pratica che in passato ha prodotto i palazzi e i monumenti che fanno delle nostre città i luoghi d’arte tanto amati e visitati da tutto il mondo.

Il futuro della street art nei prossimi 3 anni, secondo una tua previsione.
Non saprei, l’importante è che non si faccia divorare completamente dalle esigenze del mondo della comunicazione.

Il tuo rapporto con i social network…
Mi sa che sono un po’ una frana coi social perché non riuscirei mai a stabilire una formula di comunicazione stabile e costante – così come insegnano a fare i migliori influencer – perché ritengo che al di là di ciò che crediamo noi non siamo mai la stessa persona, cambiamo rapidamente e quindi non possiamo nemmeno comunicare sempre allo stesso modo, standardizzando il nostro linguaggio. Dunque io posto quello che mi va e soprattutto che mi diverte, e ovviamente mi riferisco a contenuti sul mio lavoro perché pubblicare post sulla propria vita privata ritengo che dovrebbe essere illegale, figurati.

Chi sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento nell’Arte? Al contrario, cosa ti colpisce maggiormente quando osservi un esordiente?
I miei maestri sono infiniti e vengono dalle più disparate forme di espressione. Ammiro le parole di Celine e Flaiano, le poesie di Roversi e della Szymborska, la voce di Tom Waits, la chitarra di Marc Ribot e le orchestrazioni di Ammar, il segno di Klimt, Schiele, Mucha ma anche di Hokusai, Tolouse-Lautrec e Crumb, così come quello di Pazienza e Magnus, la genialità di Bosch, di Basquiat, di Haring, ma anche le visioni di Antonioni come le storie di Petri, eppure colei che reputo vera maestra sopra ognuno e sopra ogni cosa è la Natura. Trascorro a volte del tempo a meditare sull’esistenza prendendo come riferimento proprio gli elementi della Natura e ad osservare dunque la luce che colpisce le cose vive, gli infiniti colori del giorno, il cielo notturno, e via dicendo…Di un esordiente mi colpisce la libertà di espressione nel lavoro e l’assenza di presunzione nei modi di fare.

Cosa farai domani – progetti per il futuro.
Nel mio vocabolario non esiste la parola domani, io vivo oggi. Posso dirti cosa sto facendo ora, cioè organizzando il MURo Festival che prevede una serie di nuovi murales, tavole rotonde e rassegne di documentari al MACRO ora a maggio e una mostra a ottobre alla galleria Rosso20Sette di Roma, ma non so se tutto ciò accadrà o meno, perché il futuro è solo un’ipotesi.

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Tempo stimato per la lettura: 26 minuti

David Diavù Vecchiato, fra i più noti artisti in Italia, lavora spesso attraverso l’Arte Urbana – termine che preferisce usare al posto di Street Art.
In questa intervista su ViviCreativo ha raccontato la sua passione per il Cinema, la Letteratura, la Musica, la Poesia e…la Natura.

Dall’ 11 maggio è al M.U.Ro – Museo Urban di Roma per parlare di street art a partire dalle periferie, dando una visione sulle prospettive future.

David Diavù Vecchiato è un artista, curatore e musicista nato a Roma tra i più noti e attivi street artist italiani ed è sulla scena editoriale e creativa dagli inizi degli Anni Novanta. Oltre ad aver pubblicato numerosi fumetti, copertine e illustrazioni (su La Repubblica, La Repubblica XL, Frigidaire, Blue, Il Cuore, Alias, Linus, Rockstar, Rumore), la sua prima partecipazione a una esposizione collettiva è del 1996 all’Happening Internazionale Underground di Roma e Milano, che gli ha dedicato la prima personale nel 2002.
Numerose le mostre in Europa, Asia e negli Stati Uniti.
Alterna l‘attività visual e curatoriale alla musica. È consulente di collezionisti privati e direttore artistico del progetto Mondopop, che promuove artisti di tutto il mondo vendendo opere e producendo mostre, performance, installazioni ed eventi live. Cura il Festival itinerante di Urban Art, Lowbrow e Pop Surrealism “Urban Superstar Show”.
Dal 2010 è curatore del progetto di Street Art MURo Museo Urban di Roma, museo a cielo aperto da lui ideato e dal 2015 collabora con Sky Arte.
Dal 2016 è ideatore e curatore del progetto GRAArt per conto di ANAS, progetto di Urban Art realizzato a Roma e patrocinato dal MiBAC.
Insegna Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Istituto Europeo di Design di Roma.

Ci puoi raccontare da cosa è nata la tua passione per il Cinema? E per le donne del Cinema in particolare?
Posso dirti che quando frequentavo ancora all’Istituto d’Arte sono andato ad aspettare Federico Fellini sotto casa finché non sono riuscito a conoscerlo, ho inseguito Nanni Loy in metropolitana e ne ho combinate altre di questo genere, proprio per la grande passione che nutrivo nei confronti di questo linguaggio e di alcuni dei suoi autori. Da amante del disegno, dei libri e della musica per me il Cinema – e idem il Cinema d’animazione – è sempre stato un linguaggio attraente forse proprio per la sua peculiarità di utilizzare testo, immagine e suono. A un certo punto ho iniziato a utilizzare nelle mie opere d’arte urbana alcune immagini e personaggi tratti da film perché è un buon mezzo per parlare al cuore delle persone. Se il senso della tua opera puoi esprimerlo con un volto di un’attrice o un fotogramma reinterpetati da te, perché non farlo? Ad esempio col progetto Popstairs delle scalinate dipinte ho voluto esprimere l’esigenza di vedere più monumenti ‘al femminile’ nelle nostre città. Esprimere questo desiderio attraverso sguardi di attrici che ti osservano da quelle scalinate mi è sembrato del tutto naturale.

Come scegli i tuoi soggetti?
Il processo dell’ispirazione è complesso, a volte ti viene in mente l’immagine inaspettatamente e ti devi sbrigare a schizzarla sullo sketchbook prima che la dimentichi, altre volte sei tu a stimolare un’immagine perché il concept ti frulla in testa da un po’ e devi trovare assolutamente il modo migliore per esprimerlo. I soggetti veri e propri che dipingerò arrivano dopo questa prima fase di solito, e richiedono spesso sedute fotografiche in studio con modelli e la realizzazione di diversi bozzetti. Questo accade a meno che non si stia parlando di opere di Street Art o comunque realizzate in spazi condivisi e all’aperto che mi fanno venire in mente subito il soggetto. Ad esempio la testa di cavallo di Donatello che ho reinterpretato sulla scalinata di ingresso laterale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è stato il primo soggetto che mi è saltato in mente appena visitato il museo. Così come quando vedo un luogo abbandonato fatiscente mi viene in mente che potrei dipingerci il Totòbolik, il mio mix tra Totò e Diabolik che rappresenta per me la potenziale speculazione che può facilmente verificarsi in quei luoghi, soprattutto se ignorati, ed è stata la scena di Totò che raggira un turista ignaro (e ignorante) vendendogli la Fontana di Trevi in “Totò Truffa” a ispirarmi quel personaggio.

Quali tecniche utilizzi?
Nelle opere pittoriche in studio utilizzo un po’ tutto, la tecnica è al servizio dell’idea. Nelle opere di Street Art uso soprattutto gli stencil con gli smalti spray e le vernici a base acrilica coi pennelli, nei grandi murales prevalentemente uso acrilico e pennelli.

Cosa significa per te “essere un creativo”? Che significato ha la parola creatività?
È una professione, che comporta difficili scelte di vita. “Essere un creativo” non è soltanto avere idee, perché tutti hanno un’immaginazione chi più e chi meno fervida, e tutti sotto la giusta guida possono diventare bravi a disegnare, a dipingere, a scolpire, suonare, cantare, girare film, e così via, se la loro sensibilità li spinge a farlo. È però la forza di volontà per trasformare quell’attitudine molto comune in una scelta personale decisa e definitiva. Poi subentrano la ricerca artistica e stilistica, la forza della propria proposta artistica, il talento e molti altri fattori che fanno di un comune creativo un vero artista.

Che differenze vedi tra la street art che si fa oggi rispetto a quella degli esordi? Al di là dell’aumento degli street artist, delle tecniche e dei lavori realizzati, c’è qualcosa, secondo te, che sta cambiando profondamente?
In ogni campo agli esordi c’è più genuinità e passione, e così è stato per la Street Art. Oggi vedo diverse sensibilità in campo, dunque proposte di diverso spessore che chiamerei comunque più Arte Pubblica che Street Art. Le proposte più grossolane sono quelle di coloro a cui basta conoscere un amministratore pubblico, essere capaci di trovare e compilare bandi, sapere dove trovare finanziatori privati e definirsi “appassionati” di Street Art per ritenersi ‘professionisti’. Quelli che insomma ritengono che intervenire esteticamente su panorami pubblici condivisi possa essere una questione di improvvisazione. Tra questi ci sono spesso anche degli amministratori pubblici locali che non hanno alcuna capacità di selezionare né artisti, né organizzazioni che producono arte, essendo spesso ignoranti su queste tematiche. Molti di questi amministratori pubblici però hanno compreso il potenziale di comunicazione e di ‘distrazione’ della cosiddetta “riqualificazione urbana” e quindi ci si buttano a pesce e sono contenti di presenziare a destra e a sinistra a inaugurazioni di murales, come una volta andavano a inaugurare autostrade e ponti, ma oggi con molto meno dispendio di soldi e di mezzi. Molti altri progetti sono invece ovviamente validi, e sono quelli che hanno curatori con competenze, esperienza e sensibilità giusta nei confronti dei luoghi in cui si va ad intervenire con le opere d’arte, quelli che pagano gli artisti e che li fanno lavorare in sicurezza e tranquillità, quelli che insomma non sono.
Per il resto, quello che vedo cambiare è che c’è sempre più ampia diffusione in tutto il mondo del fare arte in strada. Quello che piacerebbe a me che cambiasse è che anche gli architetti iniziassero ad accorgersi di questo fenomeno e che riprendessero man mano a collaborare con gli artisti visivi nel progettare gli edifici, pratica che in passato ha prodotto i palazzi e i monumenti che fanno delle nostre città i luoghi d’arte tanto amati e visitati da tutto il mondo.

Il futuro della street art nei prossimi 3 anni, secondo una tua previsione.
Non saprei, l’importante è che non si faccia divorare completamente dalle esigenze del mondo della comunicazione.

Il tuo rapporto con i social network…
Mi sa che sono un po’ una frana coi social perché non riuscirei mai a stabilire una formula di comunicazione stabile e costante – così come insegnano a fare i migliori influencer – perché ritengo che al di là di ciò che crediamo noi non siamo mai la stessa persona, cambiamo rapidamente e quindi non possiamo nemmeno comunicare sempre allo stesso modo, standardizzando il nostro linguaggio. Dunque io posto quello che mi va e soprattutto che mi diverte, e ovviamente mi riferisco a contenuti sul mio lavoro perché pubblicare post sulla propria vita privata ritengo che dovrebbe essere illegale, figurati.

Chi sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento nell’Arte? Al contrario, cosa ti colpisce maggiormente quando osservi un esordiente?
I miei maestri sono infiniti e vengono dalle più disparate forme di espressione. Ammiro le parole di Celine e Flaiano, le poesie di Roversi e della Szymborska, la voce di Tom Waits, la chitarra di Marc Ribot e le orchestrazioni di Ammar, il segno di Klimt, Schiele, Mucha ma anche di Hokusai, Tolouse-Lautrec e Crumb, così come quello di Pazienza e Magnus, la genialità di Bosch, di Basquiat, di Haring, ma anche le visioni di Antonioni come le storie di Petri, eppure colei che reputo vera maestra sopra ognuno e sopra ogni cosa è la Natura. Trascorro a volte del tempo a meditare sull’esistenza prendendo come riferimento proprio gli elementi della Natura e ad osservare dunque la luce che colpisce le cose vive, gli infiniti colori del giorno, il cielo notturno, e via dicendo…Di un esordiente mi colpisce la libertà di espressione nel lavoro e l’assenza di presunzione nei modi di fare.

Cosa farai domani – progetti per il futuro.
Nel mio vocabolario non esiste la parola domani, io vivo oggi. Posso dirti cosa sto facendo ora, cioè organizzando il MURo Festival che prevede una serie di nuovi murales, tavole rotonde e rassegne di documentari al MACRO ora a maggio e una mostra a ottobre alla galleria Rosso20Sette di Roma, ma non so se tutto ciò accadrà o meno, perché il futuro è solo un’ipotesi.

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