Enrico Brignano: “Gigi è il simbolo di una Roma che non morirà mai”
Tempo stimato per la lettura: 2,8 minuti
Omaggio di Enrico Brignano
Il momento dei saluti è arrivato. Enrico Brignano, commosso fino all’inverosimile, rende omaggio al grande Gigi con un discorso che trasborda di passione, stima e rispetto. Per Enrico, Gigi è il simbolo di una Roma che non morirà mai. Enrico lo ha amato come si amano le cose più belle ed è stato irradiato dalla sua luce, quella luce che Gigi ha donato a tutti a modo suo. Quella luce che non si spegnerà mai.
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Maestro mio, è arrivato il momento dei saluti. Se fossi bravo come te, avrei composto un sonetto, una poesia, per dire quello che sei stato veramente e quello che sei stato adesso per tutta questa gente. Ti avrei descritto senza alcun timore:
Gigi, grande attore, regista, mattatore, cesellatore arguto, umile stratega
artigiano felice nella sua bottega.
quel tuo saper giocare ad inventar la vita, a trasformarla, rendendola leggera
gioco dopo gioco, sera dopo sera.
E questa leggerezza, quanto mi è servita, veder l’abisso e dire sì, io mi ci butto
prendere il niente e trasformarlo in tutto.
Ma io non lo so fa’, non so’ capace, e allora lo faccio in prosa, a modo mio, come mi viene meglio, anche se è difficile trovare la forza per salutare te, che mi hai aperto la porta dei sogni, che sei stato il mio mentore per eccellenza, che in tutti noi allievi hai ispirato desiderio di emulazione, ma allo stesso tempo ci hai insegnato ad essere noi stessi.
Eri… sei un gigante con cui ci siamo dovuti confrontare, ma sei stato anche il nostro riparo ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno. La prima volta che ti vidi da vicino era un giorno di aprile del 1988. Entrasti e con la giacchetta tenuta per un dito hai detto: “Sciaooo”. Voce imponente, volto autorevole, così alto, con una testa piena de’ capelli.
Mi sentii tremendamente intimidito, poi pian piano mi sono abituato all’idea, così cominciai a chiamarti come facevano tutti gli altri, Giggi, con due gi. E cominciai ad amarti, senza remore, senza infingimenti, cercando di assorbire quello che potevo ogni volta che ti ero vicino.
Vederti sul palcoscenico è sempre stato un privilegio per tutti e un dono per chi spera di fare questo mestiere. Grazie Gigi, eri e sei pura luce, ti sei lasciato dietro uno scintillio di cui resta un timido bagliore su tutti noi, un po’ per ciascuno.
Così, mi piace immaginarti sereno nel viaggio che hai intrapreso, certo di aver fatto un buon lavoro con il tuo baule che hai portato tante volte in scena, strapieno della nostra gratitudine. Lo so, da maestro starai pensando: “Daje Eri, strigni, stai sotto finale, nun mollà, strigni, strigni!” Stringo, stringo.
Adesso non ci sei… eh, adesso non ci sei, non ci sarai… per molto, molto tempo non ci sarai. Lo vedi, non ci riesco, perdonami Gì, me conosci anche tu, ma io non ci riesco a dire la parola più.
Omaggio di Virginia Raggi
Omaggio di Marisa Laurito
Omaggio di Valentina Marzali
Omaggio di Edoardo Leo
Omaggio di Paola Cortellesi
Omaggio di Walter Veltroni
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Enrico Brignano: “Gigi è il simbolo di una Roma che non morirà mai”
Tempo stimato per la lettura: 8 minuti
Omaggio di Enrico Brignano
Il momento dei saluti è arrivato. Enrico Brignano, commosso fino all’inverosimile, rende omaggio al grande Gigi con un discorso che trasborda di passione, stima e rispetto. Per Enrico, Gigi è il simbolo di una Roma che non morirà mai. Enrico lo ha amato come si amano le cose più belle ed è stato irradiato dalla sua luce, quella luce che Gigi ha donato a tutti a modo suo. Quella luce che non si spegnerà mai.
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Maestro mio, è arrivato il momento dei saluti. Se fossi bravo come te, avrei composto un sonetto, una poesia, per dire quello che sei stato veramente e quello che sei stato adesso per tutta questa gente. Ti avrei descritto senza alcun timore:
Gigi, grande attore, regista, mattatore, cesellatore arguto, umile stratega
artigiano felice nella sua bottega.
quel tuo saper giocare ad inventar la vita, a trasformarla, rendendola leggera
gioco dopo gioco, sera dopo sera.
E questa leggerezza, quanto mi è servita, veder l’abisso e dire sì, io mi ci butto
prendere il niente e trasformarlo in tutto.
Ma io non lo so fa’, non so’ capace, e allora lo faccio in prosa, a modo mio, come mi viene meglio, anche se è difficile trovare la forza per salutare te, che mi hai aperto la porta dei sogni, che sei stato il mio mentore per eccellenza, che in tutti noi allievi hai ispirato desiderio di emulazione, ma allo stesso tempo ci hai insegnato ad essere noi stessi.
Eri… sei un gigante con cui ci siamo dovuti confrontare, ma sei stato anche il nostro riparo ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno. La prima volta che ti vidi da vicino era un giorno di aprile del 1988. Entrasti e con la giacchetta tenuta per un dito hai detto: “Sciaooo”. Voce imponente, volto autorevole, così alto, con una testa piena de’ capelli.
Mi sentii tremendamente intimidito, poi pian piano mi sono abituato all’idea, così cominciai a chiamarti come facevano tutti gli altri, Giggi, con due gi. E cominciai ad amarti, senza remore, senza infingimenti, cercando di assorbire quello che potevo ogni volta che ti ero vicino.
Vederti sul palcoscenico è sempre stato un privilegio per tutti e un dono per chi spera di fare questo mestiere. Grazie Gigi, eri e sei pura luce, ti sei lasciato dietro uno scintillio di cui resta un timido bagliore su tutti noi, un po’ per ciascuno.
Così, mi piace immaginarti sereno nel viaggio che hai intrapreso, certo di aver fatto un buon lavoro con il tuo baule che hai portato tante volte in scena, strapieno della nostra gratitudine. Lo so, da maestro starai pensando: “Daje Eri, strigni, stai sotto finale, nun mollà, strigni, strigni!” Stringo, stringo.
Adesso non ci sei… eh, adesso non ci sei, non ci sarai… per molto, molto tempo non ci sarai. Lo vedi, non ci riesco, perdonami Gì, me conosci anche tu, ma io non ci riesco a dire la parola più.
Omaggio di Virginia Raggi
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