Er Pinto, poeta anonimo: “La creatività è creare qualcosa anche quando non ci sono i mezzi”

About the Author: Alessia

Published On: 19 Aprile 2020

Tempo stimato per la lettura: 7,8 minuti

Abbiamo intervistato Er Pinto, che è nato a Roma ed è un poeta anonimo.
Inizia il suo percorso artistico entrando a far parte del collettivo “Poeti der Trullo” nel 2010 per uscirne dopo sei anni.

Scrive i suoi testi online e sotto forma di “Street Poetry” sui muri della città.
Nel 2015 pubblica nella prima edizione di “Metroromantici”, una raccolta dei Poeti der Trullo, sesta nella classifica nazionale 2017 dei libri più venduti della sezione poesia de La Feltrinelli; di quest’ultima cura anche il progetto grafico.

Nel 2017 pubblica il suo primo libro da singolo dal titolo “Il Peso delle Cose” attualmente in tutte le librerie.

Forma con Yest il duo artistico Point Eyes. In ambito musicale collabora con vari artisti tra i quali Giulia Ananìa, Emilio Stella, Piotta e Colle der Fomento.

Finora ha scritto le sue rime per le strade di Roma, Milano, Praga, Parigi e New York.

Come scegli cosa scrivere e rappresentare? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Non lo scelgo. L’ispirazione è qualcosa che arriva all’improvviso e si impossessa della penna, è una fase in cui mi distacco dal mondo, a volte è anche una terapia. Mi è capitato di aprire dei vecchi file o di trovare dei fogli dove avevo scritto parecchio tempo prima, rileggerli e pensare: “Bellissima questa cosa, ma l’ho scritta io?”.
Prendo ispirazione dalla vita di tutti i giorni, dagli amori, da un discorso fatto in macchina con un amico a tarda notte. Dai discorsi fatti al bancone di un pub davanti a qualche birra. Da un panorama. Scrivere significa convivere con un’ inquietudine, dei momenti di malinconia che sono una sofferenza, un peso che ti porti dentro. Una sensibilità così forte che, a volte, ho pensato anche che avrei preferito non averla. In quel momento scrivere diventa un’ esigenza, un posto sicuro dove mi sento protetto, tutto riprende senso perché quello che provo diventa vivo in una forma affascinante e immortale. Cerco dentro di me, cerco di assorbire, di fare da trasformatore delle emozioni . Credo che il processo artistico sia come un cerchio. dove chi osserva parte dal punto zero per poi conoscere, venire arricchito dal mondo circostante riuscendo, in seguito, a trasformare tutto ciò in qualcosa di “leggibile” o interpretabile da altri. Nel momento in cui anche una sola persona riesce ad apprezzare quel qualcosa, il cerchio si è chiuso e quello che “l’artista” ha preso o ha appreso dal mondo in quel momento è stato restituito in una nuova forma. Per quanto riguarda gli Street Poetry, che sono una versione light di quello che scrivo su cartaceo, scelgo delle frasi sintetiche che possano spiegare dei concetti estesi e complessi. Poche parole che possano far riflettere, aiutare, sorridere chi ci passa davanti.

Hai scritto il libro “Il peso delle cose” Che esperienza è stata per te?
Quando scrivi un libro di poesie è come se decidessi di spogliarti, ma invece di mostrare il corpo mostri l’anima. Non è sempre facile “spogliarsi” per questo scrivo dietro uno pseudonimo, per sentirmi più libero, più disinibito. Ho imparato col tempo a non aver più paura e quindi non è detto che prima o poi non uscirò dall’anonimato. Avere il libro tra le mani è come avere una parte di te, che prima era astratta che è diventata materiale. Emozionante, come è emozionante ogni volta che qualcuno legge in pubblico qualcosa che ho scritto. Quel pensiero, quello stato d’animo, lo senti, lo rivivi. Poi nel mio caso faccio tutto da solo, sono editore, grafico e autore, quindi le soddisfazioni sono molteplici.

La tua prima opera realizzata… che ricordo ne hai?
La prima volta che mi sono reso conto di aver scritto qualcosa in versi, che potesse essere considerata una poesia, ero seduto sul divano di un mio caro amico, forse stavamo studiando, c’era silenzio. Scrissi delle righe che raccontavano la partitella sotto casa di quando ero ragazzino. Era “Er Futbol”, avevo vent’anni più o meno. La prima volta che ho scritto su un muro invece non me la ricordo. Di una delle prime volte ricordo però un aneddoto simpatico. Era notte e stavo scrivendo su un muro di Trastevere. Cercavo di ricordarmi la quartina da fare quindi la ripetevo a un mio amico. Ero per strada e stavo facendo qualcosa di illegale, quindi c’era già un po’ di agitazione di base, la ripetevo e non me la ricordavo bene. “No, aspetta, era così. Nono, senti, era così.” Dovevo stare attento che non passasse nessuno nonostante fosse tardi, le due o le tre di notte. In mezzo a questa frenesia alla fine me la ricordo, inizio a scriverla lesto e in un silenzio di tomba si sente una voce dal citofono, delicata quasi a cantilena: “Cojoniii…che state a fa?”. Siamo scappati, mentre ridevamo come matti, fino a non avere più il respiro. Mi ha fatto ridere perché non ci aveva rimproverato ma ci aveva preso in giro evidenziando quanto eravamo goffi.

Cosa significa per te la parola creatività?
La creatività è il dono di creare qualcosa anche quando non ce ne sarebbero apparentemente i mezzi.
La fantasia di vedere in delle cose e in degli oggetti delle potenzialità che vanno oltre a quelle comuni.
In questi giorni di quarantena le persone creative non si annoiano sicuramente, perché riescono a trasformare qualcosa in un gioco. Oppure semplicemente, disegnano, scrivono, costruiscono qualcosa, dipingono. Creano. Le persone che creano, sono creative. Il poeta per esempio potrebbe essere considerato un creativo della parola. Poesia significa proprio creazione, creare dal nulla, dal greco Poiesis.
Anche se non basta fare un bel gioco di parole per essere considerati dei poeti, come non basta scrivere un diario per essere degli scrittori, o fare un dipinto per essere dei pittori.
Il creativo è colui che almeno ci prova anche soltanto per il piacere di farlo. Inizia tutto da lì, da un gesto creativo che potrebbe diventare arte.

Quando hai cominciato a disegnare e perché?
Diciamo che non sono un disegnatore, un pittore. Però ogni tanto mi cimento anche nell’arte del disegno.
Nei miei disegni c’è quasi sempre anche una parte scritta, delle parole. Non so come mai ma a volte sento di aver voglia di disegnare invece che di scrivere e quindi provo, sperimento.

Se non avessi fatto questo lavoro, a cosa ti saresti dedicato?
Purtroppo la scrittura, finora, più che il mio lavoro è la mia missione. Non vivo di questo, vorrei tanto, ma ancora non è così. Nonostante varie iniziative e vari progetti a cui partecipo saltuariamente, lezioni nelle scuole, street art, spettacoli teatrali, reading e poi anche la vendita dei miei libri, di opere e merchandising, ci guadagno poco e niente. Ho dovuto affiancare alla scrittura tanti lavori per mantenermi, principalmente il grafico perché è quello che ho studiato, e che ancora continuo a fare, ma anche il cameriere, l’assistente di vendita, l’organizzatore di eventi, lo speedy pizza. Il mio sogno è vivere di quello che faccio, quindi scrivere e vendere i miei libri, scrivere sui muri, scrivere canzoni, fare spettacoli e reading poetici. Non sogno di diventare milionario o di fare una vita nel lusso, di diventare una star, semplicemente di vivere bene guadagnando dalla mia arte.

Se dovessi scegliere una città diversa per vivere e lavorarci, quale sceglieresti?
Roma la amo e la odio. Basterebbe così poco per farla diventare oltre alla più bella, la più vivibile. Se a Roma non hai un mezzo proprio e vivi fuori dal centro storico è faticoso spostarsi in maniera celere e comoda. Ho vissuto a New York per un mese, lo scorso anno e mi è piaciuta, ho provato a restarci di più ma non è stato facile inserirsi in così poco tempo e non avevo abbastanza soldi per permettermi altro tempo lì.
Anche Parigi l’ho frequentata periodicamente negli ultimi mesi e non mi dispiace. Non saprei scegliere una città dove vivrei. Idealmente penso al mare, all’isola dove sei perennemente in costume e a piedi nudi ma realisticamente credo di aver il bisogno delle connessioni di una metropoli.

L’opera alla quale sei più affezionato e perché…
Se penso a uno Street Poetry è “C’ho rime nella testa – Ner core ‘na tempesta”. È stato uno dei primi che ho scritto, tutto storto ma spontaneo, a Spray, su un muro a Monteverde nel 2010/2011.
È diventato una sorta di tag, di segno distintivo, fa parte anche del mio logo. Come se fosse il motto diciamo. Se penso a un componimento Er Futbol , perché, mi autocito: “Er primo amore, se sa…’n se scorda mai”.

Facebook: Er Pinto
Website: erpinto.it
Instagram: @erpinto

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Published On: 19 Aprile 2020

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Tempo stimato per la lettura: 23 minuti

Abbiamo intervistato Er Pinto, che è nato a Roma ed è un poeta anonimo.
Inizia il suo percorso artistico entrando a far parte del collettivo “Poeti der Trullo” nel 2010 per uscirne dopo sei anni.

Scrive i suoi testi online e sotto forma di “Street Poetry” sui muri della città.
Nel 2015 pubblica nella prima edizione di “Metroromantici”, una raccolta dei Poeti der Trullo, sesta nella classifica nazionale 2017 dei libri più venduti della sezione poesia de La Feltrinelli; di quest’ultima cura anche il progetto grafico.

Nel 2017 pubblica il suo primo libro da singolo dal titolo “Il Peso delle Cose” attualmente in tutte le librerie.

Forma con Yest il duo artistico Point Eyes. In ambito musicale collabora con vari artisti tra i quali Giulia Ananìa, Emilio Stella, Piotta e Colle der Fomento.

Finora ha scritto le sue rime per le strade di Roma, Milano, Praga, Parigi e New York.

Come scegli cosa scrivere e rappresentare? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Non lo scelgo. L’ispirazione è qualcosa che arriva all’improvviso e si impossessa della penna, è una fase in cui mi distacco dal mondo, a volte è anche una terapia. Mi è capitato di aprire dei vecchi file o di trovare dei fogli dove avevo scritto parecchio tempo prima, rileggerli e pensare: “Bellissima questa cosa, ma l’ho scritta io?”.
Prendo ispirazione dalla vita di tutti i giorni, dagli amori, da un discorso fatto in macchina con un amico a tarda notte. Dai discorsi fatti al bancone di un pub davanti a qualche birra. Da un panorama. Scrivere significa convivere con un’ inquietudine, dei momenti di malinconia che sono una sofferenza, un peso che ti porti dentro. Una sensibilità così forte che, a volte, ho pensato anche che avrei preferito non averla. In quel momento scrivere diventa un’ esigenza, un posto sicuro dove mi sento protetto, tutto riprende senso perché quello che provo diventa vivo in una forma affascinante e immortale. Cerco dentro di me, cerco di assorbire, di fare da trasformatore delle emozioni . Credo che il processo artistico sia come un cerchio. dove chi osserva parte dal punto zero per poi conoscere, venire arricchito dal mondo circostante riuscendo, in seguito, a trasformare tutto ciò in qualcosa di “leggibile” o interpretabile da altri. Nel momento in cui anche una sola persona riesce ad apprezzare quel qualcosa, il cerchio si è chiuso e quello che “l’artista” ha preso o ha appreso dal mondo in quel momento è stato restituito in una nuova forma. Per quanto riguarda gli Street Poetry, che sono una versione light di quello che scrivo su cartaceo, scelgo delle frasi sintetiche che possano spiegare dei concetti estesi e complessi. Poche parole che possano far riflettere, aiutare, sorridere chi ci passa davanti.

Hai scritto il libro “Il peso delle cose” Che esperienza è stata per te?
Quando scrivi un libro di poesie è come se decidessi di spogliarti, ma invece di mostrare il corpo mostri l’anima. Non è sempre facile “spogliarsi” per questo scrivo dietro uno pseudonimo, per sentirmi più libero, più disinibito. Ho imparato col tempo a non aver più paura e quindi non è detto che prima o poi non uscirò dall’anonimato. Avere il libro tra le mani è come avere una parte di te, che prima era astratta che è diventata materiale. Emozionante, come è emozionante ogni volta che qualcuno legge in pubblico qualcosa che ho scritto. Quel pensiero, quello stato d’animo, lo senti, lo rivivi. Poi nel mio caso faccio tutto da solo, sono editore, grafico e autore, quindi le soddisfazioni sono molteplici.

La tua prima opera realizzata… che ricordo ne hai?
La prima volta che mi sono reso conto di aver scritto qualcosa in versi, che potesse essere considerata una poesia, ero seduto sul divano di un mio caro amico, forse stavamo studiando, c’era silenzio. Scrissi delle righe che raccontavano la partitella sotto casa di quando ero ragazzino. Era “Er Futbol”, avevo vent’anni più o meno. La prima volta che ho scritto su un muro invece non me la ricordo. Di una delle prime volte ricordo però un aneddoto simpatico. Era notte e stavo scrivendo su un muro di Trastevere. Cercavo di ricordarmi la quartina da fare quindi la ripetevo a un mio amico. Ero per strada e stavo facendo qualcosa di illegale, quindi c’era già un po’ di agitazione di base, la ripetevo e non me la ricordavo bene. “No, aspetta, era così. Nono, senti, era così.” Dovevo stare attento che non passasse nessuno nonostante fosse tardi, le due o le tre di notte. In mezzo a questa frenesia alla fine me la ricordo, inizio a scriverla lesto e in un silenzio di tomba si sente una voce dal citofono, delicata quasi a cantilena: “Cojoniii…che state a fa?”. Siamo scappati, mentre ridevamo come matti, fino a non avere più il respiro. Mi ha fatto ridere perché non ci aveva rimproverato ma ci aveva preso in giro evidenziando quanto eravamo goffi.

Cosa significa per te la parola creatività?
La creatività è il dono di creare qualcosa anche quando non ce ne sarebbero apparentemente i mezzi.
La fantasia di vedere in delle cose e in degli oggetti delle potenzialità che vanno oltre a quelle comuni.
In questi giorni di quarantena le persone creative non si annoiano sicuramente, perché riescono a trasformare qualcosa in un gioco. Oppure semplicemente, disegnano, scrivono, costruiscono qualcosa, dipingono. Creano. Le persone che creano, sono creative. Il poeta per esempio potrebbe essere considerato un creativo della parola. Poesia significa proprio creazione, creare dal nulla, dal greco Poiesis.
Anche se non basta fare un bel gioco di parole per essere considerati dei poeti, come non basta scrivere un diario per essere degli scrittori, o fare un dipinto per essere dei pittori.
Il creativo è colui che almeno ci prova anche soltanto per il piacere di farlo. Inizia tutto da lì, da un gesto creativo che potrebbe diventare arte.

Quando hai cominciato a disegnare e perché?
Diciamo che non sono un disegnatore, un pittore. Però ogni tanto mi cimento anche nell’arte del disegno.
Nei miei disegni c’è quasi sempre anche una parte scritta, delle parole. Non so come mai ma a volte sento di aver voglia di disegnare invece che di scrivere e quindi provo, sperimento.

Se non avessi fatto questo lavoro, a cosa ti saresti dedicato?
Purtroppo la scrittura, finora, più che il mio lavoro è la mia missione. Non vivo di questo, vorrei tanto, ma ancora non è così. Nonostante varie iniziative e vari progetti a cui partecipo saltuariamente, lezioni nelle scuole, street art, spettacoli teatrali, reading e poi anche la vendita dei miei libri, di opere e merchandising, ci guadagno poco e niente. Ho dovuto affiancare alla scrittura tanti lavori per mantenermi, principalmente il grafico perché è quello che ho studiato, e che ancora continuo a fare, ma anche il cameriere, l’assistente di vendita, l’organizzatore di eventi, lo speedy pizza. Il mio sogno è vivere di quello che faccio, quindi scrivere e vendere i miei libri, scrivere sui muri, scrivere canzoni, fare spettacoli e reading poetici. Non sogno di diventare milionario o di fare una vita nel lusso, di diventare una star, semplicemente di vivere bene guadagnando dalla mia arte.

Se dovessi scegliere una città diversa per vivere e lavorarci, quale sceglieresti?
Roma la amo e la odio. Basterebbe così poco per farla diventare oltre alla più bella, la più vivibile. Se a Roma non hai un mezzo proprio e vivi fuori dal centro storico è faticoso spostarsi in maniera celere e comoda. Ho vissuto a New York per un mese, lo scorso anno e mi è piaciuta, ho provato a restarci di più ma non è stato facile inserirsi in così poco tempo e non avevo abbastanza soldi per permettermi altro tempo lì.
Anche Parigi l’ho frequentata periodicamente negli ultimi mesi e non mi dispiace. Non saprei scegliere una città dove vivrei. Idealmente penso al mare, all’isola dove sei perennemente in costume e a piedi nudi ma realisticamente credo di aver il bisogno delle connessioni di una metropoli.

L’opera alla quale sei più affezionato e perché…
Se penso a uno Street Poetry è “C’ho rime nella testa – Ner core ‘na tempesta”. È stato uno dei primi che ho scritto, tutto storto ma spontaneo, a Spray, su un muro a Monteverde nel 2010/2011.
È diventato una sorta di tag, di segno distintivo, fa parte anche del mio logo. Come se fosse il motto diciamo. Se penso a un componimento Er Futbol , perché, mi autocito: “Er primo amore, se sa…’n se scorda mai”.

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