Filtrare la realtà, tra grottesco e relazioni di potere
Tempo stimato per la lettura: 6,3 minuti
A Sète, nel sud della Francia, dal 2 luglio, al Centro regionale d’art contemporanea (CRAC Occitanie), sono in corso due interessantissime esposizioni firmate da due giovani artiste. La prima Pour la peau de Jessica Rabbit di Pauline Curnier Jardin, visitabile fino all’8 gennaio 2023e la seconda Les filets d’hyphes di Diana Policarpo, che si conclude il 31 luglio 2022.
Due artiste, l’una francese, l’altra portoghese, che hanno dei legami con il Belpaese. Diana Policarpo è attualmente in mostra a Venezia all’interno del programma espositivo della Biennale intitolato The Soul Expanding Ocean, ed esporrà a Torino in autunno. Mentre, Pauline Curnier Jardin vive da qualche anno a Roma, dove ha in corso diversi progetti.
Pauline Curnier Jardin nelle viscere della creazione
Al CRAC, Pauline Curnier Jardin presenta una serie di opere in cui si mescolano sacro e profano, eros e thanatos. Quest’artista, regista e performer, attinge da un vasto repertorio di riferimenti che vanno dalla mitologia greco-romana ai racconti popolari, dalle diverse pratiche religiose ai riti pagani.
I suoi film e le sue installazioni, che spesso concepisce come palchi teatrali, fanno riferimento a spazi di gioco, intrattenimento popolare. Tanti mondi dove tutte le identità, i travestimenti e i capovolgimenti sono consentiti. In una sorta di etnologia selvaggia e organica, Pauline Curnier Jardin documenta vari riti: processioni, pellegrinaggi, feste votive…
Il suo vocabolario è tanto una fiaba quanto un film dell’orrore o di serie Z, pur essendo popolato da strani personaggi, grotteschi o ai margini della norma sociale e di genere. La mostra al Crac Occitanie è l’occasione per un tuffo totale nell’universo plastico e cinematografico di Pauline Curnier Jardin. Questa è la prima esposizione di tale portata dedicata all’artista in Francia. Diverse installazioni sono realizzate su misura per gli spazi del Crac e permettono ai visitatori di scoprire filmati, disegni e immagini all’interno di un’arena romana ricostruita (Fat to Ashes) o di una placenta gigante (Grotta Profunda Approfundita).
I tabù scendono nell’arena
Il percorso espositivo inizia con una monumentale installazione Fat to Ashes. Un’arena romana ricostruita – simile a una torta gigante – funge sia da sfondo scultoreo che da dispositivo cinematografico in cui viene presentato il film omonimo. Letteralmente “dal grasso alla cenere”, il titolo si riferisce al Martedì Grasso e al Mercoledì delle Ceneri, il passaggio verso l’inizio del digiuno e dell’astinenza per i cristiani. Il montaggio intreccia diverse storie: processioni legate al martirio di Sant’Agata a Catania in Italia, un carnevale a Colonia in Germania, l’uccisione di un maiale e un film sadomaso.
A seguire un’altra installazione le Peaux de dame (Pelli di signora) formata da un inginocchiatoio – su cui trovano un apparecchio per abbronzare e uno per schiarire il viso, quasi a formare un Giano bifronte – e alcune “pelli” involucri carnali di donne schiacciate. L’idea, racconta l’artista, l’è venuta dal film Chi ha incastrato Roger Rabbit, la cui referenza si trova nel titolo dell’esposizione perché, dichiara l’artista «spesso in questo cartoon, i personaggi vengono schiacciati, ridotti al solo all’involucro d’epidermide».
La mercificazione del corpo e dell’anima
Il percorso continua con un altro progetto avviato durante la sua residenza a Villa Medici nel 2019 e nel 2020. Nel contesto del confinamento e di un’esperienza di assoluta costrizione dei corpi, l’artista collabora con il collettivo di lavoratrici del sesso Feel Good Cooperative. Al CRAC, il visitatore si ritrova davanti a due “porte” che danno accesso l’una a una sala rossa, e l’altra a una nera.
Nella prima, dal titolo Tombeau, pagando con un gettone – come accade in alcune chiese per poter ammirare i quadri – si possono ammirare i disegni di prestazioni sessuali realizzati dalle donne della cooperativa. Nell’altra, viene proiettato il video Le lucciole che le ritrae di notte, in un luccichio di ombre e luci, lungo l’Appia antica, dove abitualmente lavorano.
Alla scoperta dell’origine del mondo
La mostra, infine, è l’occasione per presentare la riattivazione di un’installazione realizzata per la Biennale di Venezia nel 2017, dal titolo Grotta Profunda Approfundita. Un ambiente organico a forma di placenta funge da camera di osservazione per il film omonimo, girato nel 2011.
Una rivisitazione ironico-grottesca della storia di Bernadette Soubirou che vide più volte la Vergine apparire in una grotta degli Alti Pirenei e che fece di Lourdes il luogo di culto e pellegrinaggio mondiale che conosciamo oggi.
Diana Policarpo: piante, medicina e censura
Al primo piano del CRAC è esposta, l’installazione Les filets d’hyphes (Le reti di ifa) di Diana Policarpo. Qui s’intrecciano diverse narrazioni e rappresentazioni legate all’uso di piante, funghi e batteri da parte delle donne e di minoranze, come forma di conoscenza e tecnologia alternativa per il controllo del proprio corpo.
Attraverso una serie di video, brani sonori e serigrafie su tessuto, Diana Policarpo ripercorre la storia del Claviceps purpurea, meglio nota come segale cornuta, fungo parassita delle graminacee che, nel Medioevo, avrebbe dato origine al morbo del fuoco di Sant’Antonio. Infatti, l’ingestione di questo fungo provoca sensazioni di bruciore e allucinazioni.
Uso, abuso e riuso dell’ergot
La segale cornuta veniva tradizionalmente usata dalle ostetriche a basse dosi per facilitare il parto, gli aborti o soprattutto per curare le emorragie postpartum, causa di molti decessi. Una conoscenza medicinale in gran parte cancellata dalle narrazioni egemoniche prodotte dalla scienza moderna. L’installazione vuole dimostrare, attraverso studi storici, come la medicina ostetrica sia uno strumento patriarcale per il controllo del corpo femminile e della riproduzione della specie.
Purtroppo, la scoperta dell’LSD negli anni ’30 da parte di Albert Hoffman e la sintesi dell’ergot (il micelio della Claviceps purpurea) in laboratorio hanno contribuito ulteriormente a cancellare la storia orale dei processi di trasformazione di questo parassita. Con questa anche le sue interrelazioni che le attiviste femministe stanno cercando di ritrovare e di riattivare in dei laboratori artigianali dedicati al gender hacking o all’auto ginecologia.
Un parassita della Biennale di Coimbra
La mostra di Diana Policarpo al Crac Occitanie è un’estensione, o un parassita, della quarta edizione della Biennale di Coimbra 2021-2022, nell’ambito della Stagione Francia-Portogallo. Per costruire questa biennale, i curatori Filipa Oliveira ed Elfi Turpin si sono ispirati a una colonia di pipistrelli che vive nella biblioteca Joanina di Coimbra. Nella costruzione del XVIII secolo – tesoro dell’Università di Coimbra – i pipistrelli si nutrono degli insetti che rovinano i preziosi volumi.
È in questa ecologia del pensiero che si colloca la biennale e i suoi “parassiti”, attraverso mostre e azioni che considerano la notte un territorio d’indagine, uno spazio di fluidità, quasi metafisico, un luogo aperto ad altre possibilità di visione, di conoscenza, d’interazione, aperta ad altri corpi.
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Filtrare la realtà, tra grottesco e relazioni di potere
Tempo stimato per la lettura: 19 minuti
A Sète, nel sud della Francia, dal 2 luglio, al Centro regionale d’art contemporanea (CRAC Occitanie), sono in corso due interessantissime esposizioni firmate da due giovani artiste. La prima Pour la peau de Jessica Rabbit di Pauline Curnier Jardin, visitabile fino all’8 gennaio 2023e la seconda Les filets d’hyphes di Diana Policarpo, che si conclude il 31 luglio 2022.
Due artiste, l’una francese, l’altra portoghese, che hanno dei legami con il Belpaese. Diana Policarpo è attualmente in mostra a Venezia all’interno del programma espositivo della Biennale intitolato The Soul Expanding Ocean, ed esporrà a Torino in autunno. Mentre, Pauline Curnier Jardin vive da qualche anno a Roma, dove ha in corso diversi progetti.
Pauline Curnier Jardin nelle viscere della creazione
Al CRAC, Pauline Curnier Jardin presenta una serie di opere in cui si mescolano sacro e profano, eros e thanatos. Quest’artista, regista e performer, attinge da un vasto repertorio di riferimenti che vanno dalla mitologia greco-romana ai racconti popolari, dalle diverse pratiche religiose ai riti pagani.
I suoi film e le sue installazioni, che spesso concepisce come palchi teatrali, fanno riferimento a spazi di gioco, intrattenimento popolare. Tanti mondi dove tutte le identità, i travestimenti e i capovolgimenti sono consentiti. In una sorta di etnologia selvaggia e organica, Pauline Curnier Jardin documenta vari riti: processioni, pellegrinaggi, feste votive…
Il suo vocabolario è tanto una fiaba quanto un film dell’orrore o di serie Z, pur essendo popolato da strani personaggi, grotteschi o ai margini della norma sociale e di genere. La mostra al Crac Occitanie è l’occasione per un tuffo totale nell’universo plastico e cinematografico di Pauline Curnier Jardin. Questa è la prima esposizione di tale portata dedicata all’artista in Francia. Diverse installazioni sono realizzate su misura per gli spazi del Crac e permettono ai visitatori di scoprire filmati, disegni e immagini all’interno di un’arena romana ricostruita (Fat to Ashes) o di una placenta gigante (Grotta Profunda Approfundita).
I tabù scendono nell’arena
Il percorso espositivo inizia con una monumentale installazione Fat to Ashes. Un’arena romana ricostruita – simile a una torta gigante – funge sia da sfondo scultoreo che da dispositivo cinematografico in cui viene presentato il film omonimo. Letteralmente “dal grasso alla cenere”, il titolo si riferisce al Martedì Grasso e al Mercoledì delle Ceneri, il passaggio verso l’inizio del digiuno e dell’astinenza per i cristiani. Il montaggio intreccia diverse storie: processioni legate al martirio di Sant’Agata a Catania in Italia, un carnevale a Colonia in Germania, l’uccisione di un maiale e un film sadomaso.
A seguire un’altra installazione le Peaux de dame (Pelli di signora) formata da un inginocchiatoio – su cui trovano un apparecchio per abbronzare e uno per schiarire il viso, quasi a formare un Giano bifronte – e alcune “pelli” involucri carnali di donne schiacciate. L’idea, racconta l’artista, l’è venuta dal film Chi ha incastrato Roger Rabbit, la cui referenza si trova nel titolo dell’esposizione perché, dichiara l’artista «spesso in questo cartoon, i personaggi vengono schiacciati, ridotti al solo all’involucro d’epidermide».
La mercificazione del corpo e dell’anima
Il percorso continua con un altro progetto avviato durante la sua residenza a Villa Medici nel 2019 e nel 2020. Nel contesto del confinamento e di un’esperienza di assoluta costrizione dei corpi, l’artista collabora con il collettivo di lavoratrici del sesso Feel Good Cooperative. Al CRAC, il visitatore si ritrova davanti a due “porte” che danno accesso l’una a una sala rossa, e l’altra a una nera.
Nella prima, dal titolo Tombeau, pagando con un gettone – come accade in alcune chiese per poter ammirare i quadri – si possono ammirare i disegni di prestazioni sessuali realizzati dalle donne della cooperativa. Nell’altra, viene proiettato il video Le lucciole che le ritrae di notte, in un luccichio di ombre e luci, lungo l’Appia antica, dove abitualmente lavorano.
Alla scoperta dell’origine del mondo
La mostra, infine, è l’occasione per presentare la riattivazione di un’installazione realizzata per la Biennale di Venezia nel 2017, dal titolo Grotta Profunda Approfundita. Un ambiente organico a forma di placenta funge da camera di osservazione per il film omonimo, girato nel 2011.
Una rivisitazione ironico-grottesca della storia di Bernadette Soubirou che vide più volte la Vergine apparire in una grotta degli Alti Pirenei e che fece di Lourdes il luogo di culto e pellegrinaggio mondiale che conosciamo oggi.
Diana Policarpo: piante, medicina e censura
Al primo piano del CRAC è esposta, l’installazione Les filets d’hyphes (Le reti di ifa) di Diana Policarpo. Qui s’intrecciano diverse narrazioni e rappresentazioni legate all’uso di piante, funghi e batteri da parte delle donne e di minoranze, come forma di conoscenza e tecnologia alternativa per il controllo del proprio corpo.
Attraverso una serie di video, brani sonori e serigrafie su tessuto, Diana Policarpo ripercorre la storia del Claviceps purpurea, meglio nota come segale cornuta, fungo parassita delle graminacee che, nel Medioevo, avrebbe dato origine al morbo del fuoco di Sant’Antonio. Infatti, l’ingestione di questo fungo provoca sensazioni di bruciore e allucinazioni.
Uso, abuso e riuso dell’ergot
La segale cornuta veniva tradizionalmente usata dalle ostetriche a basse dosi per facilitare il parto, gli aborti o soprattutto per curare le emorragie postpartum, causa di molti decessi. Una conoscenza medicinale in gran parte cancellata dalle narrazioni egemoniche prodotte dalla scienza moderna. L’installazione vuole dimostrare, attraverso studi storici, come la medicina ostetrica sia uno strumento patriarcale per il controllo del corpo femminile e della riproduzione della specie.
Purtroppo, la scoperta dell’LSD negli anni ’30 da parte di Albert Hoffman e la sintesi dell’ergot (il micelio della Claviceps purpurea) in laboratorio hanno contribuito ulteriormente a cancellare la storia orale dei processi di trasformazione di questo parassita. Con questa anche le sue interrelazioni che le attiviste femministe stanno cercando di ritrovare e di riattivare in dei laboratori artigianali dedicati al gender hacking o all’auto ginecologia.
Un parassita della Biennale di Coimbra
La mostra di Diana Policarpo al Crac Occitanie è un’estensione, o un parassita, della quarta edizione della Biennale di Coimbra 2021-2022, nell’ambito della Stagione Francia-Portogallo. Per costruire questa biennale, i curatori Filipa Oliveira ed Elfi Turpin si sono ispirati a una colonia di pipistrelli che vive nella biblioteca Joanina di Coimbra. Nella costruzione del XVIII secolo – tesoro dell’Università di Coimbra – i pipistrelli si nutrono degli insetti che rovinano i preziosi volumi.
È in questa ecologia del pensiero che si colloca la biennale e i suoi “parassiti”, attraverso mostre e azioni che considerano la notte un territorio d’indagine, uno spazio di fluidità, quasi metafisico, un luogo aperto ad altre possibilità di visione, di conoscenza, d’interazione, aperta ad altri corpi.
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