Il corpo e l’arte di Mari Katayama
Tempo stimato per la lettura: 1,7 minuti
Dal 3 settembre al 24 ottobre, lo Studio della Maison Européenne de la Photographie di Parigi presenta Home Again, di Mari Katayama. In mostra il lavoro atipico dell’artista giapponese, il cui handicap la ispira a mettere in scena dei quadri tanto intimi quanto surreali.
Bambola disarticolata, figura ibrida, arti isolati, illuminati da una luce fredda. Nelle immagini di Mari Katayama, il corpo diventa un campo di sperimentazione, un mezzo per immergersi nell’astrazione.
Nata con una malattia rara, l’artista ha dovuto scegliere di farsi amputare le gambe all’età di nove anni. Una decisione che influenza profondamente il suo processo creativo. Perché è attraverso l’arte e la fotografia, ma anche la scultura, la pittura, il video, che l’artista riesce a esprimersi.
Home again è un’immersione in un mondo a parte, tra messa in scena e intima confessione. Riunendo istantanee scattate dal 2009 e la sua ultima serie In the Water, realizzata dopo la nascita di sua figlia.
La mostra mette in dialogo la singolarità del suo corpo con il paesaggio. Sulle rive, tra conchiglie e rifiuti, l’artista diventa una creatura ibrida, composta da vari accessori, appartenenti sia al nostro mondo che all’oceano. E, al centro di questa poetica messa in scena, Mari Katayama interroga in contrappunto il nostro rapporto con il paesaggio, la nostra visione del naturale, dell’artificiale, del bello e del diverso.
Fotografa e protagonista, performer e metteur en scène, sarta e decoratrice, Mari Katayama inventa mille racconti giustapposti. L’artista dispiega intorno al suo corpo un mondo unico dove la disabilità diventa supporto per un’immaginazione infinita e disinibita. Bambola sensuale, novella Verere che sorge dalle acque, attraverso le gigantografie di In the Water mostra i suoi arti amputati rivestiti di polvere dorata.
Mari Katayama permette al visitatore di vedere nella sua diversità non una mancanza ma un segno positivo di distinzione, un’indeterminatezza che permette di immaginare una moltitudine di identità e storie.
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Il corpo e l’arte di Mari Katayama
Tempo stimato per la lettura: 5 minuti
Dal 3 settembre al 24 ottobre, lo Studio della Maison Européenne de la Photographie di Parigi presenta Home Again, di Mari Katayama. In mostra il lavoro atipico dell’artista giapponese, il cui handicap la ispira a mettere in scena dei quadri tanto intimi quanto surreali.
Bambola disarticolata, figura ibrida, arti isolati, illuminati da una luce fredda. Nelle immagini di Mari Katayama, il corpo diventa un campo di sperimentazione, un mezzo per immergersi nell’astrazione.
Nata con una malattia rara, l’artista ha dovuto scegliere di farsi amputare le gambe all’età di nove anni. Una decisione che influenza profondamente il suo processo creativo. Perché è attraverso l’arte e la fotografia, ma anche la scultura, la pittura, il video, che l’artista riesce a esprimersi.
Home again è un’immersione in un mondo a parte, tra messa in scena e intima confessione. Riunendo istantanee scattate dal 2009 e la sua ultima serie In the Water, realizzata dopo la nascita di sua figlia.
La mostra mette in dialogo la singolarità del suo corpo con il paesaggio. Sulle rive, tra conchiglie e rifiuti, l’artista diventa una creatura ibrida, composta da vari accessori, appartenenti sia al nostro mondo che all’oceano. E, al centro di questa poetica messa in scena, Mari Katayama interroga in contrappunto il nostro rapporto con il paesaggio, la nostra visione del naturale, dell’artificiale, del bello e del diverso.
Fotografa e protagonista, performer e metteur en scène, sarta e decoratrice, Mari Katayama inventa mille racconti giustapposti. L’artista dispiega intorno al suo corpo un mondo unico dove la disabilità diventa supporto per un’immaginazione infinita e disinibita. Bambola sensuale, novella Verere che sorge dalle acque, attraverso le gigantografie di In the Water mostra i suoi arti amputati rivestiti di polvere dorata.
Mari Katayama permette al visitatore di vedere nella sua diversità non una mancanza ma un segno positivo di distinzione, un’indeterminatezza che permette di immaginare una moltitudine di identità e storie.
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