La cinquina finalista del Premio Strega Poesia

About the Author: Redazione ViviCreativo

Published On: 13 Luglio 2024

Tempo stimato per la lettura: 7,6 minuti

Al MAXXI L’Aquila – Museo nazionale delle arti del XXI secolo sono stati annunciati, l’11 luglio 2024, i libri finalisti del Premio Strega Poesia, promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e Strega Alberti Benevento, in collaborazione con BPER Banca e con il sostegno di Ministero della Cultura, Parco archeologico del Colosseo, Comune dell’Aquila e MAXXI L’Aquila, Gabinetto Vieusseux, media partner RAI, sponsor tecnici Librerie Feltrinelli e SYGLA.

I cinque libri finalisti selezionati dal Comitato scientifico – composto da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Melania G. Mazzucco, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta – sono:

Gian Maria Annovi, Discomparse, Aragno

Daniela Attanasio, Vivi al mondo, Vallecchi Firenze.

Roberto Cescon, Natura, Stampa 2009.

Stefano Dal Bianco, Paradiso, Garzanti.

Giovanna Frene, Eredità ed Estinzione, Donzelli.

Queste le motivazioni:

Gian Maria Annovi, Discomparse, Aragno

Nella loro varietà sorprendente, le voci che abitano Discomparse danno parola agli «svociati, gli sfigurati del marine, che i discorsi dominanti negano, cancellano, dimenticano». Così se nel poemetto La Scolta si confrontano due inverse inibizioni della lingua, in un teatro della crudeltà dove la tragedia classica incontra Bergman, in Visita alla città di Sodoma un allegorico «deserto» è punteggiato da lapidi d’invenzione, in ricordo di coloro che persero la vita per la propria sessualità. Quelle «discomparse» sono presenze dimenticate, consegnate al desiderio o al rimpianto: come quelle dei neri riscattate dagli Estratti, invertendo una tradizione che li emargina per segnare a dito l’altra scomparsa, in mare, che sfregia il nostro tempo. Una lingua non (ancora) nata, che nondimeno parla. Come quella «che s’innova e che / scalcia», dalla «Signora» indovinata in quella barbarica della «scolta»: prima o poi destinata a «scalzare dal nostro domani / questo paralizzato italiano». Se tornerà possibile un dialogo, allora, finalmente potremo dire di essere nati.

Daniela Attanasio, Vivi al mondo, Vallecchi Firenze

Qualcosa deve nascere, fra le parole di un libro. Una nuova visione, un sentimento del mondo. Quella di Attanasio è una solitudine parlante, il resoconto di uno stare al mondo a cuore aperto, con uno slittamento temporale. Quelli di Attanasio sono ricordi, esperienze, note a margine, note verbali di un corpo vivente, tracce mnestiche, ciò che la vita lascia tra le maglie della vita – e la poetessa intercetta e trascrive, rivivendo o vivendo, se è vero che il corpo, in qualunque condizione, «sente ancora l’amore» e «il linguaggio nasce dalla sintesi».

Con una commovente e utilissima fiducia nella funzione poesia, Attanasio compone un’autobiografia universale, nella quale ciascun lettore può dare corpo e volto dei propri cari ai corpi e volti fissati nelle pagine, perché l’autrice intona un ininterrotto e quasi impersonale canto d’amore e malinconia, una sensata e fitta approvazione di cose piccole e immortali (piccioni, tagli di luce obliqua come gli occhi di un mondo dietro il mondo), fino al grande incontro con la figura di Amelia Rosselli, alla quale è dedicata la bellissima prosa quasi finale. Le austere stanze abitate da Rosselli hanno la stessa forma delle sue poesie: una lingua abitabile, dunque, dove stare al riparo dalla persecuzione del mondo. Una lingua che salva, finché salva, senza illusione e senza disincanto, con la serietà di un’infanzia che sopravvive e permette di intercettare tutti i bagliori di questo mondo, di vivi.

Roberto Cescon, Natura, Stampa 2009

Di fronte alla potenza attuale della scienza-tecnica, l’essere umano oggi rischia di pagare il prezzo di ritrovarsi inadeguato. Ama ancora, vive dell’esperienza del passato e pensa al futuro, sente la terra e la famiglia di tutti i viventi come un dono che lo riguarda, ma intanto il tempo della vita gli viene sottratto dalla velocità dell’informazione, gli affetti si dividono dai doveri, le immagini si avvicendano furibonde negli occhi. Non è cambiato abbastanza, l’uomo, negli ultimi due secoli, negli ultimi due decenni, per sopportare tanta pressione, tanta velocità, tanto spaesamento. Con una voce ferma, con un tono di tenace sincerità, Roberto Cescon parla della Natura, ricordando che la natura dell’uomo, della terra, del cosmo e dei viventi è quel grande mistero fatto di infinite forme di una stessa materia. La lingua umana, e la lingua della poesia in particolare, chiedono sempre di radunare nella parola le plurali e metamorfiche epifanie della natura che ci guidano e ci attraversano. Abbiamo ancora quel respiro, quella voce della poesia che ci lega nel passato di chi è vissuto e nel futuro di chi vivrà? C’è ancora una parola capace di dare continuità alle generazioni? Cescon teme lo scacco, ne ha il presentimento, ma non desiste, crede nella poesia, contro ogni trionfalismo o vittimismo. Ferito, non cede, chiede ascolto alla tradizione e pesa il suo tempo sulla bilancia dei versi, sempre vivi, sempre saldi per l’equilibrio che unisce le diverse forze di gravità del suono e del pensiero.

Stefano Dal Bianco, Paradiso, Garzanti

Un uomo, il suo cane Tito, intorno il paesaggio senese: potrebbe essere una buona figurazione di un paradiso minore, terrestre, privo della proverbiale luce divina che si spande in quello dantesco. Un Eden umanissimo: teatro di visioni più o meno rasserenate, più o meno rassicuranti, che – malgrado la brevità dei testi – Dal Bianco orchestra accordando il prevalente endecasillabo a versi di minore lunghezza come nelle stanze della tradizionale forma canzone. Vi domina la luce «radente del sole che cala». Ma anche in questa trascolorante natura che si offre ai sensi è possibile percepire «la maestà / del giorno che finisce» (torna in mente la poesia potente di Yeats: «These are the clouds about the fallen sun, / The majesty that shuts his burning eye»). Così, se il cane è gettato senza scampo nel mondo delle cose fisiche, «Tito ha il naso rasoterra / tutto il tempo perché tutto / profuma di qualcosa», il suo padrone è un io desiderante, continuamente rinviato a un luogo sconosciuto, collocato oltre l’esperienza, oltre il ricordo e l’immaginazione: «perché il profumo è altrove, / perché niente mi basta sulla terra». Perché il paradiso, infine, non può essere mai qui e ora.

Giovanna Frene, Eredità ed Estinzione, Donzelli

In questo libro Giovanna Frene si mostra nella sua compiuta maturità artistica, raccogliendo le suggestioni della sua biografia poetica e trasponendole a un livello superiore. La poesia di Eredità ed Estinzione ha una dimensione orizzontale, ampia, e una profondità di scavo verticale: non teme di confrontarsi con grandi temi. Il verso lungo circoscrive il natío paesaggio del Nord Italia, e allo stesso tempo abbraccia i luoghi della Prima Guerra Mondiale, come se non fossero trascorsi già più di cento anni, tanto è viva la memoria delle sue inesorabili conseguenze. Ma la memoria per Frene non è nulla senza la Storia, e il secolo concluso si proietta, in quest’opera, sullo sfondo di ancora più vertiginose antichità e immani distruzioni di imperi, da Roma a Bisanzio. Su queste rovine, e sulla loro paradossale promessa di futuro aleggia la poesia come sostanza in continuo cambiamento di stato, da solido a liquido a gassoso, compiendo la promessa di dare vita a un’opera che, nel mantenersi fedele a una rigorosa linea di ricerca, accetta in pieno la sfida della compiutezza e della comunicazione aperta.

La serata e il tour

Alla serata, condotta da Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione, sono intervenuti: Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI e Raffaele Daniele, vicesindaco L’Aquila, Stefania Pezzopane, presidente della Giuria del Premio Letterario Internazionale L’Aquila – BPER Banca intitolato a Laudomia Bonanni e di BPER Banca, Giuseppe Marco Litta, direttore regionale Centro Est di BPER Banca e Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024.

I candidati hanno letto alcuni testi tratti dalle opere in gara con le sonorizzazioni e gli interventi musicali di Andy dei Bluvertigo. Un’ampia giuria composta da circa 100 personalità della cultura determinerà l’opera vincitrice che verrà proclamata il prossimo 9 ottobre a Roma, al Parco archeologico del Colosseo. I giurati riceveranno i libri grazie alle Librerie Feltrinelli e potranno esprimere la loro preferenza tramite voto telematico.

La cinquina sarà ospite in diverse località italiane particolarmente attive sul territorio nella promozione della lettura. Queste le tappe: 12 luglio a Civitavecchia, ore 21, Cittadella della Musica; il 2 e 3 agosto, a Festambiente Sud, Foresta Umbra. Seguiranno altri appuntamenti a settembre: il 17 sarà al Gabinetto Vieusseux a Firenze e il 21 e 22 al festival Pordenonelegge.

Credits foto © Claudio CERASOLI

 

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Published On: 13 Luglio 2024

About the Author: Redazione ViviCreativo

Tempo stimato per la lettura: 23 minuti

Al MAXXI L’Aquila – Museo nazionale delle arti del XXI secolo sono stati annunciati, l’11 luglio 2024, i libri finalisti del Premio Strega Poesia, promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e Strega Alberti Benevento, in collaborazione con BPER Banca e con il sostegno di Ministero della Cultura, Parco archeologico del Colosseo, Comune dell’Aquila e MAXXI L’Aquila, Gabinetto Vieusseux, media partner RAI, sponsor tecnici Librerie Feltrinelli e SYGLA.

I cinque libri finalisti selezionati dal Comitato scientifico – composto da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Melania G. Mazzucco, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta – sono:

Gian Maria Annovi, Discomparse, Aragno

Daniela Attanasio, Vivi al mondo, Vallecchi Firenze.

Roberto Cescon, Natura, Stampa 2009.

Stefano Dal Bianco, Paradiso, Garzanti.

Giovanna Frene, Eredità ed Estinzione, Donzelli.

Queste le motivazioni:

Gian Maria Annovi, Discomparse, Aragno

Nella loro varietà sorprendente, le voci che abitano Discomparse danno parola agli «svociati, gli sfigurati del marine, che i discorsi dominanti negano, cancellano, dimenticano». Così se nel poemetto La Scolta si confrontano due inverse inibizioni della lingua, in un teatro della crudeltà dove la tragedia classica incontra Bergman, in Visita alla città di Sodoma un allegorico «deserto» è punteggiato da lapidi d’invenzione, in ricordo di coloro che persero la vita per la propria sessualità. Quelle «discomparse» sono presenze dimenticate, consegnate al desiderio o al rimpianto: come quelle dei neri riscattate dagli Estratti, invertendo una tradizione che li emargina per segnare a dito l’altra scomparsa, in mare, che sfregia il nostro tempo. Una lingua non (ancora) nata, che nondimeno parla. Come quella «che s’innova e che / scalcia», dalla «Signora» indovinata in quella barbarica della «scolta»: prima o poi destinata a «scalzare dal nostro domani / questo paralizzato italiano». Se tornerà possibile un dialogo, allora, finalmente potremo dire di essere nati.

Daniela Attanasio, Vivi al mondo, Vallecchi Firenze

Qualcosa deve nascere, fra le parole di un libro. Una nuova visione, un sentimento del mondo. Quella di Attanasio è una solitudine parlante, il resoconto di uno stare al mondo a cuore aperto, con uno slittamento temporale. Quelli di Attanasio sono ricordi, esperienze, note a margine, note verbali di un corpo vivente, tracce mnestiche, ciò che la vita lascia tra le maglie della vita – e la poetessa intercetta e trascrive, rivivendo o vivendo, se è vero che il corpo, in qualunque condizione, «sente ancora l’amore» e «il linguaggio nasce dalla sintesi».

Con una commovente e utilissima fiducia nella funzione poesia, Attanasio compone un’autobiografia universale, nella quale ciascun lettore può dare corpo e volto dei propri cari ai corpi e volti fissati nelle pagine, perché l’autrice intona un ininterrotto e quasi impersonale canto d’amore e malinconia, una sensata e fitta approvazione di cose piccole e immortali (piccioni, tagli di luce obliqua come gli occhi di un mondo dietro il mondo), fino al grande incontro con la figura di Amelia Rosselli, alla quale è dedicata la bellissima prosa quasi finale. Le austere stanze abitate da Rosselli hanno la stessa forma delle sue poesie: una lingua abitabile, dunque, dove stare al riparo dalla persecuzione del mondo. Una lingua che salva, finché salva, senza illusione e senza disincanto, con la serietà di un’infanzia che sopravvive e permette di intercettare tutti i bagliori di questo mondo, di vivi.

Roberto Cescon, Natura, Stampa 2009

Di fronte alla potenza attuale della scienza-tecnica, l’essere umano oggi rischia di pagare il prezzo di ritrovarsi inadeguato. Ama ancora, vive dell’esperienza del passato e pensa al futuro, sente la terra e la famiglia di tutti i viventi come un dono che lo riguarda, ma intanto il tempo della vita gli viene sottratto dalla velocità dell’informazione, gli affetti si dividono dai doveri, le immagini si avvicendano furibonde negli occhi. Non è cambiato abbastanza, l’uomo, negli ultimi due secoli, negli ultimi due decenni, per sopportare tanta pressione, tanta velocità, tanto spaesamento. Con una voce ferma, con un tono di tenace sincerità, Roberto Cescon parla della Natura, ricordando che la natura dell’uomo, della terra, del cosmo e dei viventi è quel grande mistero fatto di infinite forme di una stessa materia. La lingua umana, e la lingua della poesia in particolare, chiedono sempre di radunare nella parola le plurali e metamorfiche epifanie della natura che ci guidano e ci attraversano. Abbiamo ancora quel respiro, quella voce della poesia che ci lega nel passato di chi è vissuto e nel futuro di chi vivrà? C’è ancora una parola capace di dare continuità alle generazioni? Cescon teme lo scacco, ne ha il presentimento, ma non desiste, crede nella poesia, contro ogni trionfalismo o vittimismo. Ferito, non cede, chiede ascolto alla tradizione e pesa il suo tempo sulla bilancia dei versi, sempre vivi, sempre saldi per l’equilibrio che unisce le diverse forze di gravità del suono e del pensiero.

Stefano Dal Bianco, Paradiso, Garzanti

Un uomo, il suo cane Tito, intorno il paesaggio senese: potrebbe essere una buona figurazione di un paradiso minore, terrestre, privo della proverbiale luce divina che si spande in quello dantesco. Un Eden umanissimo: teatro di visioni più o meno rasserenate, più o meno rassicuranti, che – malgrado la brevità dei testi – Dal Bianco orchestra accordando il prevalente endecasillabo a versi di minore lunghezza come nelle stanze della tradizionale forma canzone. Vi domina la luce «radente del sole che cala». Ma anche in questa trascolorante natura che si offre ai sensi è possibile percepire «la maestà / del giorno che finisce» (torna in mente la poesia potente di Yeats: «These are the clouds about the fallen sun, / The majesty that shuts his burning eye»). Così, se il cane è gettato senza scampo nel mondo delle cose fisiche, «Tito ha il naso rasoterra / tutto il tempo perché tutto / profuma di qualcosa», il suo padrone è un io desiderante, continuamente rinviato a un luogo sconosciuto, collocato oltre l’esperienza, oltre il ricordo e l’immaginazione: «perché il profumo è altrove, / perché niente mi basta sulla terra». Perché il paradiso, infine, non può essere mai qui e ora.

Giovanna Frene, Eredità ed Estinzione, Donzelli

In questo libro Giovanna Frene si mostra nella sua compiuta maturità artistica, raccogliendo le suggestioni della sua biografia poetica e trasponendole a un livello superiore. La poesia di Eredità ed Estinzione ha una dimensione orizzontale, ampia, e una profondità di scavo verticale: non teme di confrontarsi con grandi temi. Il verso lungo circoscrive il natío paesaggio del Nord Italia, e allo stesso tempo abbraccia i luoghi della Prima Guerra Mondiale, come se non fossero trascorsi già più di cento anni, tanto è viva la memoria delle sue inesorabili conseguenze. Ma la memoria per Frene non è nulla senza la Storia, e il secolo concluso si proietta, in quest’opera, sullo sfondo di ancora più vertiginose antichità e immani distruzioni di imperi, da Roma a Bisanzio. Su queste rovine, e sulla loro paradossale promessa di futuro aleggia la poesia come sostanza in continuo cambiamento di stato, da solido a liquido a gassoso, compiendo la promessa di dare vita a un’opera che, nel mantenersi fedele a una rigorosa linea di ricerca, accetta in pieno la sfida della compiutezza e della comunicazione aperta.

La serata e il tour

Alla serata, condotta da Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione, sono intervenuti: Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI e Raffaele Daniele, vicesindaco L’Aquila, Stefania Pezzopane, presidente della Giuria del Premio Letterario Internazionale L’Aquila – BPER Banca intitolato a Laudomia Bonanni e di BPER Banca, Giuseppe Marco Litta, direttore regionale Centro Est di BPER Banca e Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Premio Strega 2024.

I candidati hanno letto alcuni testi tratti dalle opere in gara con le sonorizzazioni e gli interventi musicali di Andy dei Bluvertigo. Un’ampia giuria composta da circa 100 personalità della cultura determinerà l’opera vincitrice che verrà proclamata il prossimo 9 ottobre a Roma, al Parco archeologico del Colosseo. I giurati riceveranno i libri grazie alle Librerie Feltrinelli e potranno esprimere la loro preferenza tramite voto telematico.

La cinquina sarà ospite in diverse località italiane particolarmente attive sul territorio nella promozione della lettura. Queste le tappe: 12 luglio a Civitavecchia, ore 21, Cittadella della Musica; il 2 e 3 agosto, a Festambiente Sud, Foresta Umbra. Seguiranno altri appuntamenti a settembre: il 17 sarà al Gabinetto Vieusseux a Firenze e il 21 e 22 al festival Pordenonelegge.

Credits foto © Claudio CERASOLI

 

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