L’arte come specchio della crescente influenza della Cina in Africa
Tempo stimato per la lettura: 4,9 minuti
«Dovremmo vedere nel legame cino-africano una forma di totale liberazione dal colonialismo europeo o la comparsa di una nuova relazione basata sul dominio?»
È una delle domande che si è posta Alicia Knock, curatrice dell’esposizione Cina ↔ Africa, in corso al Centro Pompidou di Parigi, fino al 18 maggio.
L’istituzione francese continua l’esplorazione della storia delle arti non occidentali puntando i riflettori sui rapporti tra Cina e Africa. La mostra Cina ↔ Africa mette a confronto gli spazi reali e quelli immaginari derivanti da questo dialogo/confronto, soprattutto in funzione della storia coloniale e post coloniale del continente. In poche parole, è la storia occidentale che viene messa in discussione.
L’eredità del colonialismo
«All’inizio del XX° secolo, il pensatore americano del panafricanismo, W.E.B DuBois, sostenne l’idea secondo la quale il mondo asiatico potrebbe tracciare il percorso verso l’emancipazione razziale mondiale, spiega Alicia Knock. Il secolo scorso è stato attraversato dalla graduale creazione di un legame, anche in alcuni casi di una comunità di interesse politico, ideologico e poi ampiamente economico tra Cina e Africa. Questo incontro afro-asiatico tra i due “Sud” ha creato dei sistemi di rappresentazione liberi dal quadro coloniale come quello occidentale e afferma la necessità di un decentramento comune.»
Quali nuove realtà emergono da questo incontro interculturale? Quali migrazioni, quali città, quali comunità? Quali proiezioni utopiche e distopiche stanno nascendo? Cina ↔ Africa propone di delineare alcune ipotesi di scambi cino-africani, dagli immaginari comuni della lotta alla configurazione di un’identità transculturale o globalizzata. La mostra interroga alcune trasformazioni economiche (attraverso il lavoro di François-Xavier Gbré, Pratchaya Phinthong e Yonamine) e sociali nate da queste relazioni (Wang Bing, Anawana Haloba, Marie Voignier), nonché l’analisi critica che ne deriva (Musquiqui Chihying, Kiluanji Kia Henda, Binelde Hyrcan).
Quale identità?
Gli artisti François-Xavier Gbré e Kiluanji Kia Henda fissano profondamente l’ipotesi cino-africana in una storia marxista e coloniale. Mentre Gbré presenta la storia della piscina di Bamako, costruita nel 1969 dall’URSS per i primi giochi africani che non hanno mai visto la luce del giorno e rinnovata dai cinesi, diventa il simbolo di un trasferimento d’influenza geopolitica. Nell’installazione cinematografica di Henda, un’antilope imbalsamata del Museo di storia naturale di Luanda, rappresentazione dell’identità nazionale angolana, racconta la sua condizione di oggetto iconico, come un manufatto etnografico attraversato allo stesso tempo dalla memoria sconvolta del guerra civile come dalla presenza cinese attuale.
La mostra medita, inoltre, sul modo in cui la cooperazione economica investe le sfere culturali e influenza il concetto di identità nazionale. Chihying inizia dalla lunga storia del legame cino-africano – la scoperta archeologica di monete cinesi in Kenya – per mettere in scena uno scavo iniziale delle istituzioni culturali che i cinesi stanno acquisendo o costruendo in Africa. In un dispositivo concettuale e critico, Yonamine e Pratchaya Phinthong affrontano la presenza cinese come una transazione economica e simbolica reinvestita nello spazio relazionale.
Nuovi percorsi di vita
A questa possibile costituzione di una memoria collettiva, si aggiunge una serie di storie intime nei film di Marie Voignier e Wang Bing, che osservano rispettivamente i percorsi di una comunità di commercianti camerunesi e un migrante nigeriano a Guangzhou, in Cina, dove si nascono di nuovi ghetti come la “Chocolate City”.
Il primo video, di Marie Voignier, riporta le considerazioni di alcuni camerunesi che lavorano nella contraffazione di oggetti di lusso. Una serie di domande su ció che puó essere definito originale e/o falso rimanda ad altri interrogativi . Chi è il vero autore dell’oggetto, chi lo fabbrica in oriente o chi lo concepisce in occidente? La cultura nel momento che in cui supera i confini è condivisa, quindi ognuno puó appropriarsene?
Nel secondo cortometraggio, parla anch’esso d’integrazione. Filma l’esperienza di Kingley, un uomo che fa la navetta tra Lagos, la sua città natale, e Guangzhou alla ricerca di un’opportunità lavorativa. Il regista, Wang Bing, resta suggiogato dall’ambiente familiare in cui vive Kingley, tanto da non fargli più sentire il suo sentimento d’estraneità.
Culture a confronto
L’installazione di Anawana Haloba, A Dragon King in Sleepy Pride Rock, è una restituzione poetica della costruzione in Zambia di una linea ferroviaria da parte dei cinesi, la Tazara railway (1968-1975) nella forma di una coreografia filmica, letteraria, gestuale e sonora.
L’intersezione di orizzonti critici, passati e presenti, è seguito da un rilancio della speculazione per il futuro. Gli artisti liberano potenziali ma parlano anche di fallimenti o delle alternative alla cooperazione economica, facendo di questo collegamento il pretesto per un commento sulla vita politica che li circonda: Jie medita sulla prossima installazione della società Huawei in Africa , Chihying propone una moneta sonora come un’alternativa alla politica monetaria del franco CFA, mentre Binelde Hyrcan si ispira al leggendario volo del dignitario cinese del Medioevo Wan Hu per fare eco al fallimento della politica spaziale angolana, mescolando finzione e realtà.
Gli artisti invitati dal Centro Pompidou non sono solo africani o cinesi: la scelta di inserirli in quest’esposizione è data dal fatto che le loro opere illustrano pienamente le tematiche che Cina↔Africa vuole mettere a fuoco. Questioni legate soprattutto all’eredità del colonialismo, riconfigurate da nuove alleanze politiche ed economiche post o neo-colonialiste, dando spazio cosí a nuovi talenti il cui messaggio potente utilizza delle referenze proprie, in una sorta d’affermazione identitaria i cui contorni sono sfumati dalla “Storia”.
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L’arte come specchio della crescente influenza della Cina in Africa
Tempo stimato per la lettura: 15 minuti
«Dovremmo vedere nel legame cino-africano una forma di totale liberazione dal colonialismo europeo o la comparsa di una nuova relazione basata sul dominio?»
È una delle domande che si è posta Alicia Knock, curatrice dell’esposizione Cina ↔ Africa, in corso al Centro Pompidou di Parigi, fino al 18 maggio.
L’istituzione francese continua l’esplorazione della storia delle arti non occidentali puntando i riflettori sui rapporti tra Cina e Africa. La mostra Cina ↔ Africa mette a confronto gli spazi reali e quelli immaginari derivanti da questo dialogo/confronto, soprattutto in funzione della storia coloniale e post coloniale del continente. In poche parole, è la storia occidentale che viene messa in discussione.
L’eredità del colonialismo
«All’inizio del XX° secolo, il pensatore americano del panafricanismo, W.E.B DuBois, sostenne l’idea secondo la quale il mondo asiatico potrebbe tracciare il percorso verso l’emancipazione razziale mondiale, spiega Alicia Knock. Il secolo scorso è stato attraversato dalla graduale creazione di un legame, anche in alcuni casi di una comunità di interesse politico, ideologico e poi ampiamente economico tra Cina e Africa. Questo incontro afro-asiatico tra i due “Sud” ha creato dei sistemi di rappresentazione liberi dal quadro coloniale come quello occidentale e afferma la necessità di un decentramento comune.»
Quali nuove realtà emergono da questo incontro interculturale? Quali migrazioni, quali città, quali comunità? Quali proiezioni utopiche e distopiche stanno nascendo? Cina ↔ Africa propone di delineare alcune ipotesi di scambi cino-africani, dagli immaginari comuni della lotta alla configurazione di un’identità transculturale o globalizzata. La mostra interroga alcune trasformazioni economiche (attraverso il lavoro di François-Xavier Gbré, Pratchaya Phinthong e Yonamine) e sociali nate da queste relazioni (Wang Bing, Anawana Haloba, Marie Voignier), nonché l’analisi critica che ne deriva (Musquiqui Chihying, Kiluanji Kia Henda, Binelde Hyrcan).
Quale identità?
Gli artisti François-Xavier Gbré e Kiluanji Kia Henda fissano profondamente l’ipotesi cino-africana in una storia marxista e coloniale. Mentre Gbré presenta la storia della piscina di Bamako, costruita nel 1969 dall’URSS per i primi giochi africani che non hanno mai visto la luce del giorno e rinnovata dai cinesi, diventa il simbolo di un trasferimento d’influenza geopolitica. Nell’installazione cinematografica di Henda, un’antilope imbalsamata del Museo di storia naturale di Luanda, rappresentazione dell’identità nazionale angolana, racconta la sua condizione di oggetto iconico, come un manufatto etnografico attraversato allo stesso tempo dalla memoria sconvolta del guerra civile come dalla presenza cinese attuale.
La mostra medita, inoltre, sul modo in cui la cooperazione economica investe le sfere culturali e influenza il concetto di identità nazionale. Chihying inizia dalla lunga storia del legame cino-africano – la scoperta archeologica di monete cinesi in Kenya – per mettere in scena uno scavo iniziale delle istituzioni culturali che i cinesi stanno acquisendo o costruendo in Africa. In un dispositivo concettuale e critico, Yonamine e Pratchaya Phinthong affrontano la presenza cinese come una transazione economica e simbolica reinvestita nello spazio relazionale.
Nuovi percorsi di vita
A questa possibile costituzione di una memoria collettiva, si aggiunge una serie di storie intime nei film di Marie Voignier e Wang Bing, che osservano rispettivamente i percorsi di una comunità di commercianti camerunesi e un migrante nigeriano a Guangzhou, in Cina, dove si nascono di nuovi ghetti come la “Chocolate City”.
Il primo video, di Marie Voignier, riporta le considerazioni di alcuni camerunesi che lavorano nella contraffazione di oggetti di lusso. Una serie di domande su ció che puó essere definito originale e/o falso rimanda ad altri interrogativi . Chi è il vero autore dell’oggetto, chi lo fabbrica in oriente o chi lo concepisce in occidente? La cultura nel momento che in cui supera i confini è condivisa, quindi ognuno puó appropriarsene?
Nel secondo cortometraggio, parla anch’esso d’integrazione. Filma l’esperienza di Kingley, un uomo che fa la navetta tra Lagos, la sua città natale, e Guangzhou alla ricerca di un’opportunità lavorativa. Il regista, Wang Bing, resta suggiogato dall’ambiente familiare in cui vive Kingley, tanto da non fargli più sentire il suo sentimento d’estraneità.
Culture a confronto
L’installazione di Anawana Haloba, A Dragon King in Sleepy Pride Rock, è una restituzione poetica della costruzione in Zambia di una linea ferroviaria da parte dei cinesi, la Tazara railway (1968-1975) nella forma di una coreografia filmica, letteraria, gestuale e sonora.
L’intersezione di orizzonti critici, passati e presenti, è seguito da un rilancio della speculazione per il futuro. Gli artisti liberano potenziali ma parlano anche di fallimenti o delle alternative alla cooperazione economica, facendo di questo collegamento il pretesto per un commento sulla vita politica che li circonda: Jie medita sulla prossima installazione della società Huawei in Africa , Chihying propone una moneta sonora come un’alternativa alla politica monetaria del franco CFA, mentre Binelde Hyrcan si ispira al leggendario volo del dignitario cinese del Medioevo Wan Hu per fare eco al fallimento della politica spaziale angolana, mescolando finzione e realtà.
Gli artisti invitati dal Centro Pompidou non sono solo africani o cinesi: la scelta di inserirli in quest’esposizione è data dal fatto che le loro opere illustrano pienamente le tematiche che Cina↔Africa vuole mettere a fuoco. Questioni legate soprattutto all’eredità del colonialismo, riconfigurate da nuove alleanze politiche ed economiche post o neo-colonialiste, dando spazio cosí a nuovi talenti il cui messaggio potente utilizza delle referenze proprie, in una sorta d’affermazione identitaria i cui contorni sono sfumati dalla “Storia”.
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