Momenti immobili: Giacometti e Morandi

About the Author: Cristina Biordi

Published On: 16 Novembre 2024

Tempo stimato per la lettura: 4,3 minuti

La mostra Giacometti/Morandi. Momenti immobili, presentata all’Istituto Giacometti di Parigi, dal 15 novembre 2024 al 02 marzo 2025, offre un incontro unico tra le opere di due importanti artisti del dopoguerra. Alberto Giacometti (1901-1966) e Giorgio Morandi (1890-1964), pur essendo contemporanei, non si sono mai incontrati, nonostante molti tratti essenziali li accomunino. Questa mostra è la prima occasione per mettere in discussione queste prossimità: la loro pratica di studio unica, l’attaccamento a un ambiente, a modelli familiari e la ricerca originale nata dall’attenzione alla realtà.

Riunendo le collezioni della Fondazione Giacometti con prestiti del Settore Musei Civici Bologna Museo Morandi e collezioni private europee, l’esposizione presenta un viaggio attraverso le loro carriere dal 1913 al 1965 in quattro capitoli; l’atelier, la famiglia, le avangiarudoe e lo sguardo sul reale.

L’atelier: luogo di si sintesi tra arte e vita

«Abbiamo prestato una ventina di opere di Morandi che sono nel corpo del patrimonio del Museo Morandi di Bologna» dichiara Lorenzo Balbi, direttore del Museo Morandi. «Una delle cose più eclatanti è che all’Istituto Giacometti è stato ricostruito l’atelier di Giacometti (studio autentico era in rue Hippolyte-Maindron nel quartiere Montparnasse) e noi, a Bologna, in via Fondazza 36 abbiamo ricostruito nel luogo effettivo, nel luogo originale, lo studio di Morandi».

Questi studi domestici sono degli spazi unici in cui la memoria e la catarsi diventano fondamentali nel processo creativo dei due artisti. Una connessione sembra stabilirsi tra la camera modesta dell’appartamento piccolo borghese di Morandi, dove risiedeva con la madre, le sorelle, e l’atelier parigino di Giacometti. Qui, lo scultore svizzero, al contrario del più riservato artista bolognese, amava farsi fotografare.

La dimensione domestica dell’arte

L’esposizione, oltre a far dialogare le opere mette a confronto i loro modi di intendere la produzione artistica. Li accomuna la ricorrenza degli stessi modelli: gli oggetti raccolti da Morandi per essere dipinti, le figure centrali di Annette e Diego, e una cerchia ristretta di personalità per Giacometti.

L’esposizione dimostra che, se anche apparentemente molto lontani, i due artisti presentano diversi punti in comune. «Giacometti è un’artista della figura umana, un’artista che bada ai corpi, mentre Morandi i suoi ultimi ritratti, le ultime persone le ha dipinte negli anni 30», spiega Balbi. «In seguito, si è distaccato dalla figura umana che non è più entrata nelle sue opere fino alla sua morte.

La ricerca dell’equilibrio perfetto

Senza lasciare il suo piccolo atelier bolognese, Morandi produce la sua realtà, una realtà ordinata, in cui la parte diventa il tutto. La curatrice della mostra, Françoise Cohen, si interessa a quest’aspetto. L’esposizione propone un paragone sull’idea della traduzione delle forme, che siano umane o oggetti. Le bottiglie di Morandi non sono più bottiglie ma il mondo. “Alcune persone possono viaggiare per il mondo e non vederne nulla. Per arrivare alla comprensione è necessario non vedere troppo, ma guardare da vicino ciò che vediamo”, dichiarava.

«Prima di dipingere gli oggetti, Morandi li manipolava con un fare scultoreo. Le bottiglie famose che noi vediamo nelle Nature morte, in realtà sono state maneggiate, sono state riempite di gesso, sono state dipinte all’esterno, alcune scatole sono state costruite appositamente. Diventando così delle vere e proprie sculture», aggiunge il direttore del Museo Morandi.

Dentro e fuori le avanguardie

In un’epoca in cui infuriano i dibattiti tra figurazione e astrazione, in cui gli artisti sono chiamati a rientrare nell’uno o nell’altro campo, entrambi sviluppano un’arte legata alla realtà, ma non realistica e che, dalla trascrizione del mondo visibile, mira all’essenza.

Viaggiarono deliberatamente poco. La vita di Morandi si divide tra Bologna, sua città natale, e Grizzana, paesino dell’Appennino dove si reca d’estate. Giacometti, vive a Parigi dal 1922, ma va quasi ogni anno a Stampa e Maloja, le case della sua infanzia in Val Bregaglia. Grandi artisti del Novecento, appaiono come voci singolari che, attraversando le avanguardie, rinnovano le forme classiche: la natura morta e il paesaggio per Morandi, la figura umana per Giacometti, entrambi incarnando nel dopoguerra una visione della condizione umana universale.

La creazione per ingannare l’attesa

Se i due artisti non s‘incontrarono mai, ognuno aveva visto le opere uno dell’altro. Quest’esposizione è la prima occasione in cui i due artisti si trovano a dialogare. E data l’ottima intesa, le istituzioni stanno lavorando per portare la mostra a Bologna. L’accostamento delle opere fa emergere le loro forti affinità: dall’ammirazione comune per Giotto, Rembrandt e Cezanne alla cura per i piani di posa di Morandi e la disposizione delle figure umane nello spazio di Giacometti. Emerge una forte componente teatrale nella costruzione delle loro opere, un senso d’attesa e sospensione.

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Riunendo le collezioni della Fondazione Giacometti con prestiti del Settore Musei Civici Bologna Museo Morandi e collezioni private europee, l’esposizione presenta un viaggio attraverso le loro carriere dal 1913 al 1965 in quattro capitoli; l’atelier, la famiglia, le avangiarudoe e lo sguardo sul reale.

L’atelier: luogo di si sintesi tra arte e vita

«Abbiamo prestato una ventina di opere di Morandi che sono nel corpo del patrimonio del Museo Morandi di Bologna» dichiara Lorenzo Balbi, direttore del Museo Morandi. «Una delle cose più eclatanti è che all’Istituto Giacometti è stato ricostruito l’atelier di Giacometti (studio autentico era in rue Hippolyte-Maindron nel quartiere Montparnasse) e noi, a Bologna, in via Fondazza 36 abbiamo ricostruito nel luogo effettivo, nel luogo originale, lo studio di Morandi».

Questi studi domestici sono degli spazi unici in cui la memoria e la catarsi diventano fondamentali nel processo creativo dei due artisti. Una connessione sembra stabilirsi tra la camera modesta dell’appartamento piccolo borghese di Morandi, dove risiedeva con la madre, le sorelle, e l’atelier parigino di Giacometti. Qui, lo scultore svizzero, al contrario del più riservato artista bolognese, amava farsi fotografare.

La dimensione domestica dell’arte

L’esposizione, oltre a far dialogare le opere mette a confronto i loro modi di intendere la produzione artistica. Li accomuna la ricorrenza degli stessi modelli: gli oggetti raccolti da Morandi per essere dipinti, le figure centrali di Annette e Diego, e una cerchia ristretta di personalità per Giacometti.

L’esposizione dimostra che, se anche apparentemente molto lontani, i due artisti presentano diversi punti in comune. «Giacometti è un’artista della figura umana, un’artista che bada ai corpi, mentre Morandi i suoi ultimi ritratti, le ultime persone le ha dipinte negli anni 30», spiega Balbi. «In seguito, si è distaccato dalla figura umana che non è più entrata nelle sue opere fino alla sua morte.

La ricerca dell’equilibrio perfetto

Senza lasciare il suo piccolo atelier bolognese, Morandi produce la sua realtà, una realtà ordinata, in cui la parte diventa il tutto. La curatrice della mostra, Françoise Cohen, si interessa a quest’aspetto. L’esposizione propone un paragone sull’idea della traduzione delle forme, che siano umane o oggetti. Le bottiglie di Morandi non sono più bottiglie ma il mondo. “Alcune persone possono viaggiare per il mondo e non vederne nulla. Per arrivare alla comprensione è necessario non vedere troppo, ma guardare da vicino ciò che vediamo”, dichiarava.

«Prima di dipingere gli oggetti, Morandi li manipolava con un fare scultoreo. Le bottiglie famose che noi vediamo nelle Nature morte, in realtà sono state maneggiate, sono state riempite di gesso, sono state dipinte all’esterno, alcune scatole sono state costruite appositamente. Diventando così delle vere e proprie sculture», aggiunge il direttore del Museo Morandi.

Dentro e fuori le avanguardie

In un’epoca in cui infuriano i dibattiti tra figurazione e astrazione, in cui gli artisti sono chiamati a rientrare nell’uno o nell’altro campo, entrambi sviluppano un’arte legata alla realtà, ma non realistica e che, dalla trascrizione del mondo visibile, mira all’essenza.

Viaggiarono deliberatamente poco. La vita di Morandi si divide tra Bologna, sua città natale, e Grizzana, paesino dell’Appennino dove si reca d’estate. Giacometti, vive a Parigi dal 1922, ma va quasi ogni anno a Stampa e Maloja, le case della sua infanzia in Val Bregaglia. Grandi artisti del Novecento, appaiono come voci singolari che, attraversando le avanguardie, rinnovano le forme classiche: la natura morta e il paesaggio per Morandi, la figura umana per Giacometti, entrambi incarnando nel dopoguerra una visione della condizione umana universale.

La creazione per ingannare l’attesa

Se i due artisti non s‘incontrarono mai, ognuno aveva visto le opere uno dell’altro. Quest’esposizione è la prima occasione in cui i due artisti si trovano a dialogare. E data l’ottima intesa, le istituzioni stanno lavorando per portare la mostra a Bologna. L’accostamento delle opere fa emergere le loro forti affinità: dall’ammirazione comune per Giotto, Rembrandt e Cezanne alla cura per i piani di posa di Morandi e la disposizione delle figure umane nello spazio di Giacometti. Emerge una forte componente teatrale nella costruzione delle loro opere, un senso d’attesa e sospensione.

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