Un’aria di famiglia. L’arte africana contemporanea tra storia, memoria e trasmissione
Tempo stimato per la lettura: 4,6 minuti
Organizzata all’interno della Stagione Africa2020, la mostra Un.e Air.e de famille, in corso alle porte di Parigi, al Museo d’arte e storia Paul Eluard di Saint-Denis, fino all’8 novembre 2021, presenta i lavori di tredici artiste africane contemporanee insieme ad alcune opere delle collezioni del museo. Inoltre, all’esposizione è legato un ricco programma d’eventi che copre tutto il periodo estivo.
La mostra è curata da Anne Yanover e Farah Clémentine Dramani-Issifou, con la collaborazione delle sorelle Chevalme, che espongono per l’evento un progetto inedito dal titolo Mama Whita. Un’installazione che presenta un salotto borghese, con poltrone imbottite, oggetti in ceramica e vecchie cornici. Osservando con attenzione ci si rende conto che sulla tappezzeria sono raffigurate scene di violenza, quella operata dai coloni verso gli schiavi africani, ispirate da disegni e da foto di quel periodo. La società francese è seduta, letteralmente come in senso figurato, sui crimini perpetrati nei confronti d’altri uomini: la sua ricchezza è macchiata di sangue.
Faces, di Nadia Kaabi-Linke, evoca i documenti sulla mostra coloniale del 1931 presenti nella collezione del museo, alla quale i surrealisti si opposero apertamente. Questo lavoro trova la sua fonte in due fotografie pubblicitarie per la prima Esposizione Universale, tenutasi a Londra nel 1851. Le fotografie raffiguravano alcuni gruppi presentati, in modo “esotico”, come Zulu e Swazis. L’artista ha isolato ciascuno dei volti per ridare dignità e importanza a ogni singola persona.
Altro spazio espositivo del museo è l’attigua cappella dalle Carmelitane, ricostruita da Richard Mique, architetto di Maria Antonietta e primo architetto di Luigi XVI, che dal 1895 al 1993 servì da tribunale distrettuale. Infatti, l’attuale Museo d’arte e storia Paul Eluard di Saint-Denis è accolto nell’ex monastero carmelitano, fondato nel 1625, e la cui prima pietra fu posta dalla regina Maria de’ Medici.
Qui sono esposte le opere di Owanto Flowers (affiche de la mostra) e Thousand Voices. L’artista ritrovando 13 scatti dell’epoca coloniale a casa dei genitori, si è interrogata su come rielaborare questo materiale. Immagini che parlano del rito dell’infibulazione, a cui molte giovani donne sono ancora costrette. Attraverso dei fiori, in ceramica di pasta di mais, ha voluto poeticamente nascondere il volto o le parti intime di queste donne. Mentre, l’installazione sonora, raccoglie le voci di centinaia di donne nel mondo che hanno subito l’infibulazione. In 24 lingue, come in una sinfonia commovente e vibrante, si alternano i racconti pacati delle violenze subite. Secondo l’artista, il luogo espositivo, un ex tribunale, è perfetto per rendere giustizia a queste donne.
Le altre artiste esposte sono Laeïla Adjovi, Eliane AÏsso, Malala Andrialavidrazana, Yto Barrada, Katia Kameli, Kapwani Kiwanga, Tuli Mekondjo, Otobong Nkanga, Thania Petersen ed Euridice Zaituna Kala. Le loro installazioni, fotografie, video, affrontano temi come la politica, la storia coloniale, l’identità, l’ecologia, i femminismi, la memoria, i confini o la spiritualità. Tutte artiste di fama mondiale che hanno esposto nelle maggiori istituzioni dalla Tate di Londra al Museo Smithsonian Museum di Washington DC, passando per il Centro Pompidou di Parigi e la Biennale di Venezia.
A chiudere la mostra, alcuni documenti che testimoniano l’impegno anticoloniale dei surrealisti come Paul Eluard, Man Ray, André Breton e di altri artisti, tratti dalle collezioni del museo. In occasione dell’Esposizione coloniale internazionale di Vincennes, nel 1931, attraverso due pubblicazioni (Non visitate l’esposizione coloniale e Primo bilancio dell’esposizione coloniale) i surrealisti fecero intendere con veemenza la loro voce. Durante l’Esposizione, gruppi di popoli africani, come quelli ritratti nella foto utilizzata da Nadia Kaabi-Linke, venivano mostrati nello zoo di Vincennes, alla stregua di animali rari.
All’implicazioni degli artisti del passato rispondono le artiste di oggi. Come per ripristinare la loro lunga assenza della storiografia e della storia dell’arte. Un.e Air.e de Famille sceglie d’evidenziare gli sguardi che posano quest’artiste sulla società: a lungo invisibili, nonostante abbiano un posto importantissimo nelle lotte politiche di ieri e di oggi, nelle quali hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo essenziale. È alla luce di un’identità ibrida, formata da diversi contributi, che queste opere offrono una lettura diversa della modernità, andando oltre la questione delle origini, che troppo spesso le ha imbrigliate.
Questo dialogo tra artiste e artisti, a quasi un secolo di distanza, spinge il visitatore a una riflessione profonda sullo stato della società contemporanea, al di là delle relazioni tra Africa e Francia, riguardo la questione dei migranti, le battaglie antirazziali, il ruolo della donna in casa come nell’arte e di quello dell’artista nella società.
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Un’aria di famiglia. L’arte africana contemporanea tra storia, memoria e trasmissione
Tempo stimato per la lettura: 14 minuti
Organizzata all’interno della Stagione Africa2020, la mostra Un.e Air.e de famille, in corso alle porte di Parigi, al Museo d’arte e storia Paul Eluard di Saint-Denis, fino all’8 novembre 2021, presenta i lavori di tredici artiste africane contemporanee insieme ad alcune opere delle collezioni del museo. Inoltre, all’esposizione è legato un ricco programma d’eventi che copre tutto il periodo estivo.
La mostra è curata da Anne Yanover e Farah Clémentine Dramani-Issifou, con la collaborazione delle sorelle Chevalme, che espongono per l’evento un progetto inedito dal titolo Mama Whita. Un’installazione che presenta un salotto borghese, con poltrone imbottite, oggetti in ceramica e vecchie cornici. Osservando con attenzione ci si rende conto che sulla tappezzeria sono raffigurate scene di violenza, quella operata dai coloni verso gli schiavi africani, ispirate da disegni e da foto di quel periodo. La società francese è seduta, letteralmente come in senso figurato, sui crimini perpetrati nei confronti d’altri uomini: la sua ricchezza è macchiata di sangue.
Faces, di Nadia Kaabi-Linke, evoca i documenti sulla mostra coloniale del 1931 presenti nella collezione del museo, alla quale i surrealisti si opposero apertamente. Questo lavoro trova la sua fonte in due fotografie pubblicitarie per la prima Esposizione Universale, tenutasi a Londra nel 1851. Le fotografie raffiguravano alcuni gruppi presentati, in modo “esotico”, come Zulu e Swazis. L’artista ha isolato ciascuno dei volti per ridare dignità e importanza a ogni singola persona.
Altro spazio espositivo del museo è l’attigua cappella dalle Carmelitane, ricostruita da Richard Mique, architetto di Maria Antonietta e primo architetto di Luigi XVI, che dal 1895 al 1993 servì da tribunale distrettuale. Infatti, l’attuale Museo d’arte e storia Paul Eluard di Saint-Denis è accolto nell’ex monastero carmelitano, fondato nel 1625, e la cui prima pietra fu posta dalla regina Maria de’ Medici.
Qui sono esposte le opere di Owanto Flowers (affiche de la mostra) e Thousand Voices. L’artista ritrovando 13 scatti dell’epoca coloniale a casa dei genitori, si è interrogata su come rielaborare questo materiale. Immagini che parlano del rito dell’infibulazione, a cui molte giovani donne sono ancora costrette. Attraverso dei fiori, in ceramica di pasta di mais, ha voluto poeticamente nascondere il volto o le parti intime di queste donne. Mentre, l’installazione sonora, raccoglie le voci di centinaia di donne nel mondo che hanno subito l’infibulazione. In 24 lingue, come in una sinfonia commovente e vibrante, si alternano i racconti pacati delle violenze subite. Secondo l’artista, il luogo espositivo, un ex tribunale, è perfetto per rendere giustizia a queste donne.
Le altre artiste esposte sono Laeïla Adjovi, Eliane AÏsso, Malala Andrialavidrazana, Yto Barrada, Katia Kameli, Kapwani Kiwanga, Tuli Mekondjo, Otobong Nkanga, Thania Petersen ed Euridice Zaituna Kala. Le loro installazioni, fotografie, video, affrontano temi come la politica, la storia coloniale, l’identità, l’ecologia, i femminismi, la memoria, i confini o la spiritualità. Tutte artiste di fama mondiale che hanno esposto nelle maggiori istituzioni dalla Tate di Londra al Museo Smithsonian Museum di Washington DC, passando per il Centro Pompidou di Parigi e la Biennale di Venezia.
A chiudere la mostra, alcuni documenti che testimoniano l’impegno anticoloniale dei surrealisti come Paul Eluard, Man Ray, André Breton e di altri artisti, tratti dalle collezioni del museo. In occasione dell’Esposizione coloniale internazionale di Vincennes, nel 1931, attraverso due pubblicazioni (Non visitate l’esposizione coloniale e Primo bilancio dell’esposizione coloniale) i surrealisti fecero intendere con veemenza la loro voce. Durante l’Esposizione, gruppi di popoli africani, come quelli ritratti nella foto utilizzata da Nadia Kaabi-Linke, venivano mostrati nello zoo di Vincennes, alla stregua di animali rari.
All’implicazioni degli artisti del passato rispondono le artiste di oggi. Come per ripristinare la loro lunga assenza della storiografia e della storia dell’arte. Un.e Air.e de Famille sceglie d’evidenziare gli sguardi che posano quest’artiste sulla società: a lungo invisibili, nonostante abbiano un posto importantissimo nelle lotte politiche di ieri e di oggi, nelle quali hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo essenziale. È alla luce di un’identità ibrida, formata da diversi contributi, che queste opere offrono una lettura diversa della modernità, andando oltre la questione delle origini, che troppo spesso le ha imbrigliate.
Questo dialogo tra artiste e artisti, a quasi un secolo di distanza, spinge il visitatore a una riflessione profonda sullo stato della società contemporanea, al di là delle relazioni tra Africa e Francia, riguardo la questione dei migranti, le battaglie antirazziali, il ruolo della donna in casa come nell’arte e di quello dell’artista nella società.
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